Raffaele Valentini e le voci recitanti

‘Maleparole’ di Raffaele Valentini, la poetica della lingua turese

A vent’anni dall’uscita di ‘Parole a memoria’ e a sei dalla ‘Grammatica turese’, il prof. Raffaele Valentini, ex-docente di lingue, studioso di lungo corso, scrittore, giornalista, nonché direttore del nostro giornale ‘il paese’ torna a parlare della lingua turese, della lingua dialettale, con un terzo volume dal titolo ‘Maleparole’. Una trilogia di fondamentale importanza, edita da ‘il paese’, in quanto mette nero su bianco, ancorando al tangibile una cultura fino a qualche anno fa prettamente orale, cioè trasmessa a memoria di padre in figlio senza punti di riferimento letterari, decodificati e proprio per questo a rischio estinzione.

Un pericolo, in parte scongiurato – tanto, però, è andato purtroppo perduto per sempre – da lavori di ricerca come quelli messi in atto in un lungo arco di tempo dal prof. Valentini poi sfociati nei tre libri e in articoli pubblicati su ‘il paese’, giornale fin dalla nascita, nel lontano 1988, attento alla cultura in genere e a quella popolare in particolare.

Nella bella serata di presentazione di ‘Maleparole’, il 19 agosto scorso, organizzata dalla Pro Loco, dal Comitato Feste Patronali e da ‘il paese’, di fronte ad un attento e numeroso pubblico – segno evidente dell’attenzione verso i temi della cultura locale ed anche di stima per l’Autore che a questi temi ha dedicato tutta la sua vita – si è parlato molto dell’importanza delle culture e delle innumerevoli lingue dialettali della nostra cara Italia.

L’atmosfera di amicizia e gioia al Chiostro dei Francescani, una volta luogo di meditazione dei Frati Riformati, ha coinvolto tutti mescolando: dibattito – gli interventi di Lia Daddato (vicedirettore de ‘il paese’), Annalisa Rossi (Soprintendente agli Archivi e alle Biblioteche della Lombardia), Raffaele Valentini, il sindaco Giuseppe De Tomaso, musica ruspante (Oronzo Di Pinto con un pezzetto della nostra Banda musicale cittadina ‘Don Giovanni Cipriani’) e belle letture dialettali teatrate.

Raffaele Valentini ha introdotto brevemente la serata, poi ha passato la parola al Sindaco, il quale ha elogiato il lavoro di ricerca portato avanti dallo studioso turese, definendo il suo ‘Maleparole’ «un lavoro non solo eccellente ma anche divertente». De Tomaso ha poi citato Gramsci, per sottolineare l’importanza dei linguaggi locali nella formazione intellettuale, riferendo di una lettera dalla prigionia con cui raccomandava alla sorella Teresina di lasciare parlare in sardo i suoi bambini per non commettere l’errore di mettere “una camicia di forza” alla loro fantasia invece si “sviluppino spontaneamente nell’ambiente naturale in cui sono nati…”.

Lia Daddato ha sottolineato l’importanza del progetto editoriale de ‘il paese’: «Sono quasi 40 anni che condividiamo con Raffaele la passione per la ricerca e l’attenzione per questo nostro paese, una passione che ci accomuna dagli anni ’80 del secolo scorso, a partire dall’esperienza dell’Arci, una bella esperienza, madre di tante amicizie e tanti progetti, tra cui appunto la nostra rivista ‘il paese’, che ormai vanta più di 320 numeri e tante parole, articoli, ricerche, approfondimenti”. La lingua, il dialetto, i modi di dire, ha continuato la Vicedirettrice de ‘il paese’ “hanno sempre avuto un posto di rilievo nel nostro giornale: ‘Maleparole’ è il 3° libro di Raffaele edito da ‘il paese’ e dedicato al dialetto, ma ricordiamo ‘Parole a memoria’ edito nel 2004 e la ‘Grammatica turese’ del 2018” ed anche le prime tre lettere del ‘Dizionario turese’ pubblicate sui quaderni ‘Sulletracce’ del Centro Studi».

La dott.ssa Daddato ha spiegato i motivi di tutta quest’attenzione al dialetto: «Non solo perché il nostro Direttore ne è un cultore ostinato e appassionato, ma perché crediamo che il dialetto, la lingua della nostra comunità, sia l’espressione più autentica della nostra cultura popolare, sia la sua voce, un patrimonio immateriale che per sua natura rischia di rarefarsi e scomparire». Ma come evitare tutto questo? «Opere come quelle di Raffaele ci offrono una soluzione perché non soltanto ci aiutano a conservare memoria dei suoni, delle parole, delle espressioni, ma ci offrono modi nuovi di esercitare la nostra lingua, scongiurandone la scomparsa”. Infine, un appello: “Il nostro paese ha bisogno di un progetto che metta radici più a fondo, un progetto che s’impegni a valorizzare il nostro patrimonio culturale con la stessa cura e attenzione che Raffaele Valentini ha dedicato al nostro dialetto, valorizzandolo e restituendocelo come una parte di noi».

La dott.ssa Annalisa Rossi nel suo intervento cita il Pasolini del 1951: «”Se una lingua si compie nel suo passaggio alla dimensione scritta, prima, e a quella letteraria, dopo, il volumetto ‘Maleparole’ disegna la strada, con una certezza, suggerita dalla citazione da ‘dialetto e poesia popolare’ di Pier Paolo Pasolini a p. 88: “Quel contadino che parla il suo dialetto è padrone di tutta la sua realtà. Personalmente ritengo che a ragione la parola ‘contadino’ possa essere sostituita dalla parola ‘cittadino’, abilitando, così, la lingua dialettale a dispositivo garante della possibilità di essere pienamente se stessi, in un tempo in cui il concetto stesso di ‘comunità’ ha bisogno di superare, finalmente e felicemente, il confine di un comune, di un territorio, di un Paese…». «La poesia dialettale – ha continuato la dott.ssa Rossi citando ancora Pasolini – è un paesaggio notturno colpito ogni tanto dalla luce”… Come dire, il dialetto nella sua struttura è ontologicamente poetico e con quella dimensione di fisicità e concretezza che è propria delle comunità».

Perché Maleparole nel titolo e versi inversi nel sottotitolo, si è chiesta Annalisa Rossi? «Come dire che il dialetto sia costituito e strutturato di male parole. Cosa sono le male parole? Sono parole cattive, sono parolacce, cioè pronunciate con un’intenzione ulteriore, malevole? Nel volume Raffaele fa due operazioni: un primo livello è quello di conferire dignità di parola scritta a quella che nasce e vive come lingua orale, poi fa un salto ulteriore: la traduzione dall’italiano o da altre lingue – significativa è il brano di Shakespeare –nella lingua dialettale turese di questi contenuti, assegnando la dignità di una lingua poetica al  dialetto turese». Annalisa Rossi ha dunque elogiato il lavoro di Valentini riconoscendogli il merito di questo salto di qualità.

Raffaele Valentini, chiamato in causa dalla domanda della Rossi ha detto: «Maleparole è tutto questo. La mia intenzione è quella di dare al nostro dialetto una dignità propria soffocata nel tempo. L’aver tradotto opere come l’Amleto mi ha dato una soddisfazione profonda perché l’impresa mi ha dato la conferma di come il dialetto possa essere efficace, ne avrete dimostrazione a breve nella recitazione di brani del libro da parte di amici che mi hanno aiutato questa sera».

La bella serata estiva, minacciata ma risparmiata dal maltempo, è stata intervallata da letture ben recitate di alcune ‘Maleparole’, a cura di: Annalisa Scisci, Elena Giannico, Francesco Lerede, Irene Mastronardi, Mario Tateo (bravo a recitare a braccio e in lingua turese un brano dell’Amleto di Shakespeare “Essere o non essere, cùsse iè u uèje!…”), Pasquale Del Re (anch’egli studioso e autore di dialetto), Pasquina Cascarano.

Giovanni Lerede

Didascalie foto: 1) Raffaele Valentini con le voci recitanti; 2) Raffaele Valentini con Lia Daddato e Annalisa Rossi; 3) L’Autore con il sindaco di Turi Giuseppe De Tomaso; 4) Panoramica del Chiostro dei Francescani durante la presentazione di ‘Maleparole’.

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Al Patrono San Giovanni Battista l’omaggio del Sindaco De Tomaso e della Giunta

Il nome Giovanni in ebraico vuole dire “Dio è propizio“. E per il Sindaco di Turi Giuseppe De Tomaso, alla sua prima cerimonia pubblica, l’aver varato la sua Amministrazione il giorno di San Giovanni è stato sì un fatto assolutamente casuale, ma sicuramente di buon auspicio per il lungo cammino appena intrapreso. Un auspicio – quasi una richiesta di protezione al Santo – pronunciato durante la bella cerimonia serale di consegna delle chiavi della città di Turi al Santo Patrono, cerimonia che quest’anno è tornata a svolgersi davanti al Municipio con accresciuta solennità. 

Don Luciano Rotolo, sempre molto attento al corretto svolgimento del rito, ha infatti voluto che il Sindaco e la Giunta aspettassero davanti al portone del palazzo sede del potere laico l’arrivo della statua di San Giovanni Battista dalla vicina Chiesa Madre, sede del potere religioso.

Qui, appoggiato il Santo sul tappeto rosso srotolato dal portone al centro dello ‘stradone’, l’Arciprete in abito processionale, ha preso la parola e ha spiegato il valore simbolico del dono della chiave; poi è toccato al Sindaco parlare. “Nel nostro Sud – ha detto De Tomasoè più sentita la ricorrenza dell’onomastico rispetto a quella del compleanno perché è ancora molto sentito il culto dei Santi“.
Prima di consegnare la chiave al nostro Patrono principale, don Luciano ha donato al Primo Cittadino un piccolo busto di Sant’Oronzo (il Protettore principale) sotto campana. Infine, il rito vero e proprio dell’apposizione al braccio dell’antica statua lignea della chiave d’argento con lo Stemma della città. 
La processione del Santo ha poi ripreso il suo cammino accompagnata dal Gonfalone, dal Sindaco, dai Consiglieri, dai Sacerdoti e Diaconi, dal Presidente del Comitato Festa Patronale, dal Comandante dei Carabinieri, dalla Banda musicale cittadina, dalle Confraternite e dai fedeli.

Giovanni Lerede

Foto di Fabio Zita

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La Banda ‘Don Giovanni Cipriani – Città di Turi’ festeggia i primi 60 anni di vita. La rinascita grazie alla generosità della ‘Willy Green Technology’

No! Le Bande non sono musica di serie B! Chi le compone non sono ‘musicanti della domenica’ ma appassionati di musica (alcuni non titolati) e professori diplomati al Conservatorio, che stanno insieme per il piacere della divulgazione, dell’intrattenimento ‘pedagogico’ che tanto bene fa alle nostre piccole comunità. La dimostrazione di tanta dedizione è sotto i nostri occhi da 60 anni, da quando cioè un grande sacerdote, don Giovanni Cipriani, che sapeva guardare oltre, ha deciso caparbiamente di utilizzare la musica per attrarre a sé i bambini ed emanciparli, istruirli, avviarli al futuro in una Turi che non offriva (e purtroppo non offre) grandi prospettive ai giovani. Il 20 dicembre l’Associazione Musicale ‘Maria SS. Ausiliatrice’ e la Banda musicale ‘Città di Turi’ hanno voluto celebrare l’anniversario dedicando al fondatore della prima Scuola oratoriana di Musica a Turi il tradizionale concerto di ‘Natale in Musica’ giunto alla sua 34esima edizione. L’oratoriano Raffaele Valentini, studioso della Banda, dell’Oratorio e di don Giovanni, ha introdotto il concerto evocando l’entusiasmo degli esordi, le difficoltà del percorso, la tenacia di un curato di campagna nell’affrontare l’ignoto senza grandi risorse, tuttavia convinto che quella fosse la strada giusta per dare un senso distintivo alla sua vocazione e offrire un contenuto educativo al suo Oratorio. Il prof. Valentini ha anche ricordato che la Banda, grazie alla solidità delle origini, rimane l’istituzione più longeva di Turi.

Nelle parole del M° Valerio Savino, invece, le apprensioni dell’oggi per le mille difficoltà quotidiane da affrontare per tenere insieme il gruppo, a cominciare dalla sede storica che è venuta meno. Difficoltà mitigate in questi ultimi mesi dall’entusiasmo rinato grazie ad un evento inaspettato ma sperato che ha aperto uno scenario di continuità al progetto, nato nel lontano 1963, che i veterani della Banda ancora ricordano. Un evento che è ‘manna dal cielo’, un atto di mecenatismo forse mai visto a Turi. A tendere la mano alla Banda ‘Don Giovanni Cipriani’ non è stato un ente pubblico, come pure poteva essere, e nemmeno un’azienda privata di Turi ma la Willy Green Technology srl di Castellaneta. Un’azienda che si occupa di energia solare, quindi lontana dal mondo della musica ma che nella musica, nello sport, nella cultura, nella socialità ha individuato i campi dove intervenire per sostenere, sponsorizzare, incoraggiare attività ritenute utili alla crescita soprattutto dei giovani. I due capitani d’industria Emanuele Ventura (di Castellaneta) e Giovanna Giannandrea (di Turi), coppia nel lavoro e nella vita privata, hanno portato a Turi un carico di contributi e di entusiasmo sbalordendo positivamente davvero tutti, a cominciare dal Sindaco Tina Resta, come ha lei stessa confessato pubblicamente. A beneficiare di questa inaspettata generosità sociale sono stati finora gruppi sportivi, associazioni, comitati e, soprattutto, la Banda. Il dott. Ventura non è turese ma è innamorato del nostro paese e lo ha per così dure ‘adottato’ tanto che della nostra Turi già conosce pregi e difetti, tra i quali l’eccessiva litigiosità. Ma nonostante tutto Emanuele e Giovanna, come tutti ormai familiarmente li chiamano, ci credono veramente e ascoltano chiunque a Turi abbia progetti da proporre, in un’ottica ‘umanistica’ di crescita sociale e di coesione. L’investimento quinquennale di 60 mila euro offerto dalla ‘Willy Green Technology’ ha permesso la riattivazione della Scuola di Musica della Banda, necessaria alla creazione del vivaio e vitale per il ricambio generazionale tra i bandisti. E i primi frutti si sono visti (sentiti) già durante il concerto di Natale alla ‘Sala Enotria’ con la partecipazione tra gli strumentisti di due giovanissimi studenti che fanno ben sperare per il futuro.

Il concerto del 60° anniversario, che sarà celebrato da tutta la collettività prossimamente con l’intitolazione a don Giovanni Cipriani del nuovo parco pubblico realizzato in via Ginestre come annunciato dal Sindaco, si è tenuto di fronte ad un folto pubblico, ed ha seguito un programma improntato alla contaminazione di generi musicali differenti: brani d’opera, temi da film, canzoni napoletane e del repertorio internazionale. Un filo tessuto dalla presentazione di Rosita Rossi. Ed ecco vibrare in sala sonorità bandistiche che rimandano a ‘Il Gattopardo’, ‘Nuovo Cinema Paradiso’, il ‘Barbiere di Siviglia’; poi le canzoni con l’innesto tra la Banda, la voce di Antonia Giove (soprano) e il pianoforte di Cinzia Maurantonio: ‘Non ti scordar di me’, ‘La vita è una cosa meravigliosa’, ‘What a wonderful world’, ‘Tu che mi hai preso il cuore’, ‘O sole mio’, ‘Brucia la terra’ (da ‘Il Padrino’) ‘Torna a Surriento’. In chiusura un medley di brani natalizi.

Tra un ritmo e l’altro, i pensieri e le parole dei musicisti Gianfranco Cipriani, Oronzo Di Pinto, Angelo Palmisano. Il presidente dell’Associazione ‘Maria SS. Ausiliatrice’ Vincenzo Perfido ha poi conferito al dott. Ventura la nomina a presidente onorario dell’Associazione in segno di particolare gratitudine. Emanuele Ventura, d’altro canto, ha offerto un omaggio alla Banda ‘Don Giovanni Cipriani’ dichiarandosi entusiasta per i primi risultati raggiunti e annunciando, con commozione, l’estensione del sostegno economico ad altre realtà bandistiche del circondario al fine di realizzare una formazione musicale territoriale di respiro nazionale, che possa arrivare a pareggiare le grandi Bande dei corpi militari. Infine il dono del Sindaco Resta di una targa alla Banda consegnato nelle mani del M° Savino, il quale ha detto: “La Banda unisce, la Banda è cultura, socialità, integrazione”. Savino ha riposto speranze nella legge regionale di sostegno al mondo bandistico, l’unica in Italia, e ha chiesto alle istituzioni locali maggiore attenzione per la Banda cittadina, che non è un’orchestra di serie B, come ha anche detto tempo fa anche il M° Riccardo Muti in visita a Conversano.

Noi de ‘il paese’, da sempre attenti alle sorti della Banda dell’Oratorio, facciamo appello affinché l’istituzione educativo-musicale voluta da don Giovanni Cipriani, figlio illustre di questa nostra terra, torni ad avere quanto prima pieno uso della sua sede storica, naturale. Nell’attesa, sia dato modo ai bandisti di fare le prove in ambienti confortevoli, adeguati e non arrangiandosi dove capita. Lo meritano innanzitutto per il grande impegno, per il cuore che ci mettono. W la Banda!

Testo di Giovanni Lerede, foto di Fabio Zita

Didascalie foto: 1) Il M° Valerio Savino; 2) Vincenzo Perfido e Valerio Savino con Emanuele Ventura e Giovanna Giannandrea (Willy Green Technology); 3) il doveroso ‘grazie’ al fondatore don Giovanni Cipriani; 4) il Concerto bandistico ‘Don Giovanni Cipriani – Città di Turi’ al completo

Don Lucia Rotolo primo piano

2 ottobre 2023: la Comunità turese accoglie il nuovo Arciprete Don Luciano Rotolo

L’avvio del ministero del nuovo Arciprete Parroco della Chiesa Matrice di Turi è avvenuto con una solenne concelebrazione eucaristica la sera di lunedì 2 ottobre, festa degli Angeli Custodi. La cerimonia è cominciata con una breve processione dalla Chiesa di San Domenico degli Scolopi all’Assunta, con la partecipazione del Vescovo di Conversano-Monopoli Mons. Giuseppe Favale, il neo Arciprete Don Luciano Rotolo, numerosi Presbiteri, i Diaconi e le tre Confraternite turesi. L’ingresso in Chiesa Madre è stato accolto da un numeroso popolo di fedeli ai quali si sono aggiunti i massimi rappresentanti delle istituzioni civili e militari locali, a cominciare dal Sindaco Tina Resta, e poi anche delegazioni di numerose associazioni e comitati; nelle navate gremite, inoltre, erano presenti numerosi conversanesi: i parenti del nuovo Parroco prima di tutto e poi i parrocchiani del Carmine, dove fino all’altro ieri Don Luciano ha prestato il suo servizio sacerdotale.

Il cerimoniale d’insediamento, all’interno della speciale Messa presieduta dal Vescovo, è proseguito con la lettura da parte del Cancelliere della Curia del verbale di nomina vescovile: “Visti i Canoni 523, 524 del Codice di diritto canonico, tenendo presente la delibera n. 17 della Conferenza Episcopale Italiana in esecuzione del Canone 522, in virtù della mia ordinaria autorità, ti nomino Arciprete Parroco della Parrocchia di Santa Maria Assunta in Turi con tutti i diritti e i doveri annessi all’Ufficio che ti viene affidato per la durata di anni 9… Dato in Conversano il 15 settembre 2023. Giuseppe Favale Vescovo di Conversano-Monopoli”. Poi il saluto di benvenuto del Sindaco, dei parrocchiani accompagnato da un dono; il giuramento da parte del nuovo Parroco previsto dalla proceduta canonica, la professione di fede e le firme al verbale. Tutte procedure stabilite dalle leggi della Chiesa e inserite all’interno del Solenne rito eucaristico le quali hanno sacralizzato, ufficializzato e protocollato la presa di pieno possesso da parte di Don Luciano Rotolo dell’Ufficio di Arciprete-Parroco e quindi di nuova guida della Chiesa di Turi, di nuovo Vicario Zonale.

Nell’Omelia il Vescovo Favale, paragonando se stesso e tutti gli uomini di chiesa agli ‘angeli’ mandati dal Signore a mediare e, soprattutto, a promulgare la Parola di Dio, ha detto tra l’altro: “Carissimo Don Luciano accogliendo l’eredità di Don Giovanni Amodio, di Don Vito Ingellis e di tutti gli altri Pastori continua a custodire questa comunità, falla crescere nella Fede, nella Speranza, nella Carità. Aiuta questa comunità a guardare sempre a Gesù, insieme a te… Ti chiedo di stare accanto a tutti non solo quelli che ti saranno vicini nell’attività pastorale ma anche quelli che saranno indifferenti o tu incontrerai solo qualche volta, fa che tutti possano vedere nel tuo volto il sorriso di Dio… Mettiti con umiltà accanto a tutti e non perché hai tutte le ricette pronte ma perché insieme a loro sarai in ascolto dello Spirito Santo che è la guida invisibile della Chiesa. E ti accompagnino, caro Don Luciano, l’intercessione di Maria, a cui tu sei molto affezionato, come anche coltiva l’amore e la devozione a Sant’Oronzo, pastore della Chiesa…”.

E Don Luciano ha voluto esprimere in modo plateale davanti al popolo di Dio il rispetto verso la devozione della comunità cittadina nei confronti di Sant’Oronzo lasciando il presbiterio per recarsi in ‘pellegrinaggio’ nella Cappella della Reliquia dove, accompagnato dal Presidente del Comitato Feste Patronali Andrea Saffi, ha reso omaggio al Santo dei turesi, benedicendo e baciando il Reliquiario.

Il Sindaco Tina Resta è intervenuta per un saluto di benvenuto al nuovo Arciprete: “Ci siamo visti nell’occasione del viaggio in Salento e della festa di Sant’Oronzo, dove ha potuto percepire come questa nostra città abbia il culto e la venerazione profonda per Sant’Oronzo. Ogni cambiamento porta con sè delle perplessità, delle titubanze, però io dico che Don Luciano starà bene a Turi perché Turi è una bella comunità. L’augurio che le faccio a nome di tutta la comunità, è quello di una buona permanenza a Turi dove non sarà nostro ospite ma un altro cittadino turese”.

Per la Comunità parrocchiale ha preso la parola Gianni Guerra: “Caro Don Luciano, qui trovi una comunità pronta a riprendere il cammino con un nuovo compagno di viaggio, sarai per noi padre-maestro ma anche fratello e col tempo condivideremo sforzi ed iniziative per edificare sempre più la Chiesa ed annunciare il Regno di Dio che è vicino ad ogni uomo. Noi ti assicuriamo la nostra buona volontà, ti offriremo le nostre idee e le nostre tradizioni di popolo cristiano… Don Luciano benvenuto nella tua nuova casa, nella tua nuova famiglia…”.

Prima del termine della solenne funzione, Don Luciano Rotolo è intervenuto per un primo saluto alla sua nuova comunità: “Don Giovanni mi disse: vieni per la festa di Sant’Oronzo, vieni in segreto ma poi mi presentò a tutti facendo ‘cìtte cìtte m’inze a chìazze’. Ma lui è così, vulcanico, dinamico. Ma nella serata della Festa davvero fui coinvolto e travolto dal calore, dalla bellezza, dall’entusiasmo che ho letto sui volti di tutte le persone e soprattutto dei giovani che partecipavano alla Festa del Patrono. Quello è stato il mio ‘battesimo’, un’immersione totale nella vostra realtà cittadina. Questa sera desidero dire grazie, innanzitutto al Signore che, attraverso il Vescovo, ci fa incontrare. Grazie a Sua Eccellenza per la fiducia nella mia persona e a tutti i confratelli sacerdoti e ai diaconi che sono presenti e che mi sostengono in questo nuovo impegno. E grazie ai due confratelli Parroci di Turi che conosco benissimo: Don Nicola D’Onghia e Don Giuseppe Dimaggio, che non sono solo colleghi ma soprattutto amici e questo ci sarà di grande aiuto nel lavoro che faremo insieme in questi anni. Un ringraziamento speciale a Don Giovanni Amodio che fraternamente mi ha accompagnato e saggiamente guidato nella delicata fase del passaggio dopo ben 22 anni vissuti in questa comunità. Don Giovanni ha preparato tutto e curato tutto in questo passaggio non facile. Don Giovanni è un amico fraterno e davvero è stato capace di aiutarmi, di sostenermi in questo avvicendamento”.

E a Don Giovanni Amodio, non presente alla cerimonia, tutti negli interventi prima indicati hanno voluto inviare parole di ringraziamento. In particolar modo Sua Eccellenza il Vescovo Favale, che ha detto: “Ha accolto il mio invito ad andare a servire un’altra porzione della nostra Chiesa diocesana e gli sono grato. È costato a lui ed è costato a voi questo distacco, però è bello nella gioia del servizio ecclesiale vivere questi momenti che non vanno desiderati, chiesti ma accolti nella Fede da parte di chi ha la responsabilità di guidare questa porzione di Chiesa indegnamente come il sottoscritto… Ed è bello quando nell’obbedienza della Fede a Dio che parla attraverso i Pastori si mette la propria vita al servizio della gente”.

L’uscita dalla Chiesa Madre del Vescovo, delle Confraternite e dei Sacerdoti, mentre Don Luciano ai piedi del Presbiterio riceveva amabilmente sorridente il saluto personale dalle Autorità e dalle tante persone comuni, è stata salutata dal suono dell’Inno Pontificio di Charles Gounod eseguito dalla Banda Musicale Cittadina ‘Don Giovanni Cipriani’ dell’Associazione Musicale ‘Maria SS. Ausiliatrice’, e da un dono: un’immaginetta-ricordo con il saluto alla comunità del nuovo Arciprete, a cui anche noi de ‘il paese’ diamo un caloroso benvenuto.

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Alla ‘festa dell’Apparizione’ Don Giovanni Amodio ricorda Fra Tommaso da Carbonara, al secolo Nunzio Ventrella

Da tre anni l’arciprete di Turi Don Giovanni Amodio, a seguito del ‘Giubileo Oronziano’ 2018, degli avvenimenti “casuali” legati alla reliquia di Nin e delle iniziative di studio sul culto di Sant’Oronzo Vescovo e Martire, ha voluto riprendere – in modo graduale, a causa della pandemia, ma con ferma convinzione – la memoria storica (sopita) di un avvenimento miracoloso accaduto nella primavera del 1726, che l’Arciprete ritiene decisivo nella storia del culto del Vescovo di Lecce a Turi.

Le cronache raccontano che Fra Tommaso da Carbonara, frate dimorante nel locale Convento minoritico di San Giovanni Battista, ebbe la visione del Vescovo Oronzo nei pressi della Grotta a lui dedicata, dove il Frate era stato incaricato di sovrintendere ai lavori di estrazione di pietre per il cantiere di ristrutturazione del Convento. Il Santo, dicono le fonti, lamentandosi della fievole devozione dei turesi nei suoi confronti e della scarsa cura del luogo della sua ultima dimora prima del martirio, ordinò al Frate di riferire alle autorità, al Clero e alla popolazione tutta della volontà Sua (e del Padre Celeste) di far portare in processione presso la Grotta medesima una Croce affinché se ne segnasse in modo più evidente la sua antica sacralità. La processione con il nuovo Crocifisso – si pensa sia quello conservato nel ballatoio della scalinata che scende alla Grotta – avvenne con gran concorso di popolo il 3 maggio 1726, giorno che l’antico calendario cattolico dedica alla memoria del ritrovamento della ‘vera Croce’ da parte di Sant’Elena madre di Costantino, primo imperatore cristiano. Quella visione e quella processione penitenziale dette avvio alla vigorosa ripresa del culto verso Sant’Oronzo, con la conseguente costruzione di una grande chiesa posta a custodia della Grotta, finalmente riconosciuta luogo sacro.

Il 7 maggio scorso, prima domenica del mese, per il terzo anno consecutivo, si è tornati a fare la processione con la Croce partendo dalla Scuola Elementare verso il piazzale del Cimitero, dove si è concelebrata una Messa in ricordo di Fra Tommaso da Carbonara. La Croce è stata portata a spalla a passo lento da un gran gruppo di bambini accompagnati dai loro genitori, dai Sacerdoti, dai devoti, dalle Autorità civili e militari e dalle tre Confraternite. Al termine della Messa, Don Giovanni e Don Giuseppe Dimaggio, accompagnati dal Sindaco Resta e dai bambini, hanno portato in Grotta l’antico ‘Crocifisso dei Francescani’ per una preghiera all’altare del Santo Protettore.

La ‘festa dell’Apparizione’, ha detto l’Arciprete richiamando tutti ad una devozione più autentica, sarà d’ora in poi ripetuta ogni anno la prima domenica di maggio e diventerà un appuntamento di fede sempre più importante nell’ambito dei festeggiamenti in onore di Sant’Oronzo.

Durante l’Omelia, Don Giovanni Amodio ha voluto tracciare una biografia di Fra Tommaso, ricavata dalle ultime scoperte documentarie avvenute a Napoli: «Il 3 maggio si celebra il ricordo di un avvenimento che è andato un po’ nel dimenticatoio della nostra città, ma da qualche anno l’abbiamo finalmente riscoperto. In verità l’Archivio della Chiesa Madre di Turi è da qualche tempo in movimento, ci sono diverse persone che ogni sera lo frequentano per studiare e approfondire. E nel corso dell’approfondimento è venuta fuori una carta particolare, che ci ha portati all’Archivio di Stato di Napoli. Il documento lì ritrovato è il ‘Chartulariumdella Serafica Riforma di San Niccolò, cioè la trascrizione di documenti originali relativi alla fondazione di privilegi, diritti, legati dell’istituzione ecclesiastica monastica in riferimento ai Frati Minori di Puglia e Matera dal 1429 al 1893. Questo ‘Chartularium’, da noi fotocopiato e portato a Turi, alle pagine 184-185 descrive in lingua latina la vita e le opere del nostro Fra Tommaso da Carbonara, Servo di Dio, cioè morto in concetto di santità, non un frate qualunque. Egli nacque a Carbonara di Bari verso il 1698, di umili origini, appartenente alla famiglia dei Ventrella di Carbonara; nel battesimo gli fu imposto il nome di Nunzio. Entrò nell’Ordine dei Francescani fin da giovane e fu un esempio per tutti con la sua massima umiltà, con la sua manifesta obbedienza e carità, per queste doti fu soprannominato ‘l’altro San Luigi Gonzaga’. Stette in diversi conventi fra cui quello di Turi. La biografia si sofferma poi sul particolare che egli ebbe davvero la visione di Sant’Oronzo nella grotta e che grazie al suo aiuto fu eretto un magnifico tempio, che oggi viene massimamente rispettato. Egli morì in concetto di santità il 29 gennaio 1783 a Molfetta, dove è sepolto.

Fra Tommaso con le virtù praticate durante la sua vita terrena intercede per noi dal cielo e incrementa la nostra devozione, esortandoci ad accogliere l’invito che il nostro Santo Martire Oronzo rivolse a lui per i turesi di allora, come pure di adesso: – ‘Voglio che mettano in venerazione questo luogo (la Grotta, ndr) e una Croce per inalberarsi in questo largo in segno che qui è la mia casa’. Quanto riportato nel ‘Chartularium’ di Napoli è, secondo me, il più significativo episodio che ci avvicina spiritualmente al nostro Sant’Oronzo, grazie al Servo di Dio Fra Tommaso da Carbonara.»

Giovanni Lerede

Foto di Fabio Zita

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La ‘Scuola di Musica’ della Banda di Turi riprende le attività nel solco di Don Giovanni Cipriani

Sessant’anni fa, nell’aprile 1963, don Giovanni Cipriani, da avvio al progetto educativo-musicale della Banda dell’Oratorio. Fu quella un’esperienza di ampio respiro, intuizione lungimirante di un curato di campagna testardo e determinato nel portare avanti la sua missione di sacerdote ed educatore, avendo quale punto di riferimento l’insegnamento di Don Giovanni Bosco.

E in coincidenza dell’importante anniversario, con determinazione e commozione gli eredi di quel sogno divenuto realtà – tutti ‘figli spirituali’ dell’indimenticato don Giovanni – hanno voluto riprendere il filo del discorso, scommettendo nuovamente sulla Musica quale veicolo aggregativo e formativo in un paese che in questi ultimi anni si è andato sempre più impoverendo di socialità positiva. Ad aprile prossimo, infatti, riprenderanno i corsi della ‘Scuola di Musica’ dell’Associazione musicale “Maria SS. Ausiliatrice” e della Banda cittadina “Don Ciovanni Cipriani”. Un nuovo speranzoso inizio, il tentativo di scongiurare un vuoto dannoso per Turi, maturato da un’idea progettuale del direttore artistico Valerio Savino poi sposata dagli altri membri dell’Associazione i quali, per l’esperienza maturata in tanti anni di attività bandistica, sanno benissimo che senza nuova linfa giovanile, senza un’attività costante di divulgazione musicale e strumentale la “Banda dell’Oratorio” è destinata a scomparire. E con essa la memoria vivente del suo Fondatore.

Il 14 marzo, in Municipio, i proponenti dell’Associazione “Maria SS. Ausiliatrice” e gli altri partner della ‘rinascita’ – Comune di Turi, Istituto Comprensivo “Resta-De Donato Giannini” di Turi e Azienda “Willy Green Technology srl” di Castellaneta Marina – hanno firmato un accordo di collaborazione quinquennale per rimettere in circolo la didattica musicale e con essa il ricordo dei maestri di musica che non ci sono più e dei momenti di sana aggregazione giovanile, riprendendo in mano il prezioso patrimonio di 25 strumenti musicali comunali acquistati tempo fa grazie al finanziamento del Progetto regionale “Bollenti spiriti-Bandapart”, per lungo tempo inutilizzato.

La Sindaca Tina Resta ha sottolineato «l’importanza della firma di questo protocollo d’intesa. Le crisi servono perché fanno ritornare più forti di prima se si ha il coraggio di superarle. Il presidente Vincenzo Perfido, il direttore Valerio Savino e i due straordinari imprenditori ci hanno creduto e si sono mossi seguendo le orme di Don Giovanni. Noi appoggiamo fermamente l’iniziativa perché la Banda va alimentata, va nutrita con linfa nuova. Noi abbiamo fatto ben poco, il merito va alla Dirigente dell’Istituto Comprensivo Patrizia Savino, all’Azienda ‘Willy Green Technology’ e alla lungimiranza di Valerio Savino, di Vincenzo Perfido e degli altri componenti della Banda.» Tina Resta ha anche annunciato che è stata inviata alla Prefettura la proposta d’intitolazione a Don Giovanni Cipriani del nuovo giardino realizzato all’incrocio tra via Ginestre e via Dell’Andro, nei pressi dell’Istituto ‘Pertini’.

Valerio Savino, direttore artistico dell’Associazione “Maria SS. Ausiliatrice” e direttore della ‘Scuola di Musica’, con molta commozione ha evidenziato la felice coincidenza tra il 60° anniversario della nascita della Banda dell’Oratorio e la ripresa dei corsi musicali, che intendono dare «una possibilità ai nostri giovani come noi l’abbiamo avuta da Don Giovanni. Ho girato per due anni sul territorio di Turi e non ho trovato nessuno sponsor disponibile ad investire su una risorsa come la Banda. Poi ho avuto la fortuna di incontrare sulla mia strada due persone straordinarie come Emanuele Ventura e Giovanna Giannandrea ed è stato un segno. Loro hanno accolto in pieno l’idea e sponsorizzato in toto tutta l’operazione mettendo a disposizione 70 mila euro. (Da sottolineare questa grave e inspiegabile insensibilità dimostrata dall’imprenditoria locale verso un’istituzione educativa storica come la Banda). Il progetto si rivolge agli alunni della Scuola Elementare e della Scuola Media e accoglierà 25 ragazzi. I corsi di musica saranno: clarinetto, flauto, sassofono, corno, eufonio, basso e percussioni. Le lezioni per il primo anno si terranno nella giornata del sabato quando le attività scolastiche sono sospese. Negli anni successivi le giornate di lezione aumenteranno e nel giro di un anno si andrà formando una piccola orchestra. E’ linfa nuova, come ha sottolineato Tina Resta, per un ricambio generazionale che possa spingere i giovani verso un genere ancora apprezzato dal pubblico. La Banda è un’iniziativa altamente socializzante, ci sono scambi di ogni genere e il nostro progetto va nella direzione della condivisione nello spirito dell’Oratorio.»

Ai ringraziamenti verso tutti gli attori dell’iniziativa del presidente dell’Associazione Vincenzo Perfido,ha fatto seguito l’intervento dell’amministratoreunico della ‘Willy Green Technology’ di Castellaneta Marina, la turese Giovanna Giannandrea: «La nostra azienda punta molto sul futuro dei  giovani e sulla spinta propulsiva che le nuove generazioni sono in grado di apportare. La nostra società ha nel suo nome e nei fatti la parola green sia a riguardo dell’attività industriale – impiantistica industriale, energia solare, fotovoltaico ecc.sia per interpretare insieme ai giovani un percorso di costruizione di una società più a misura d’uomo.»

Infine, l’intervento di Emanuele Ventura, responsabile delle politiche aziendali: «Noi puntiamo molto sui giovani e sul futuro e quindi lì dove vediamo la serietà e concretezza del progetto noi interveniamo al di là della spesa necessaria. Abbiamo detto sì all’invito della Banda per un semplice motivo: esso s’innesca in un progetto sociale più ampio di crescita perché la linfa vera dei nostri paesi sono i ragazzi e noi su loro dobbiamo puntare per una fiducia nel futuro. I giovani hanno bisogno del nostro aiuto. Questa attività educativa è fondamentale e noi siamo lieti di sponsorizzarla. Appoggeremo anche un’altra iniziativa a giugno e annuncio ufficialmente che la borsa di studio per ragazzi meritevoli istituita dalla ‘Willy Green Technology’  ad agosto prossimo coinvolgerà i ragazzi di Turi.»

Giovanni Lerede

Didascalie foto: 1) I protagonisti del progetto presenti alla firma del protocollo, da sinistra: Vincenzo Perfido, Tina Resta, Giovanna Giannandrea, Emanuele Ventura, Valerio Savino (foto G. Lerede). 2) Don Giovanni Cipriani attorniato dai ragazzi della sua Banda (foto Fabio Zita, 2008)

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Natività (con San Marco) e Crocifissione: due tele di Samuele Tatulli nella Chiesa delle Clarisse di Turi

“Tra le personalità artistiche cui la Puglia ha dato i natali – scrive nel 1994 Giovanni Boraccesi – vi è quella del pittore Samuele Tatulli (1754 – doc. 1826) le cui vicende, sebbene ancora oscure vanno comunque sempre più delineandosi per i continui contributi offerti dalla critica…”. Fu proprio Boraccesi in due studi pubblicati sul periodico di identità editoriale ‘Fogli di periferia’ ad indicare, grazie anche ad un preciso riferimento archivistico riguardante il Notamento del Sindaco Lomastro del 1811, l’inedita attribuzione di due tele della chiesa di Santa Chiara al nostro pittore, peraltro originario di Palo del Colle (e non di Conversano come annotano alcune fonti e, a volte, anche lo stesso Tatulli) e i cui dipinti sono stati finora rinvenuti in Puglia e Basilicata (Ferrandina, Rutigliano, Oria, Palo, Conversano, Noci, Noicattaro, San Vito dei Normanni, Mottola, Turi, Bari) coprendo un arco di tempo che va dal 1781 (Ferrandina, Madonna del Rosario) al 1826 (Bari, San Marco).

A Turi Samuele Tatulli non realizza solo i due quadri per la chiesa delle Clarisse, raffiguranti rispettivamente la Natività con Sam Marco e la Crocifissione, ma anche altre tre opere registrate nel sopramenzionato Notamento del 1811, a quel tempo compilato dal sindaco di Turi Lomastro e a noi purtroppo non pervenute. Infatti, nella cappella intra moenia di S. Giuseppe, poi scomparsa, erano custoditi «un quadro di S. Oronzo coi divoti fratelli a’ piedi. Opera recente del suddetto Tatulli». In quella extra moenia di S. Oronzo, «il quadro di S. Oronzo, S. Giusto e Fortunato» nonché quello «di S. Elena con la Croce. Questi due ultimi sono pitture del predetto Tatulli.»”.

Tornando alla chiesa delle Clarisse di Turi c’è da dire che i due dipinti, posti in posizione speculare ai lati dell’unica navata rappresentano, non casualmente, l’inizio e la fine del percorso terreno del Cristo: tenera e festosa la visione della nascita di Gesù Bambino tra pastorelli e angeli e un singolare San Marco evangelista. Di contro, drammatica e dolente la raffigurazione del Golgota, con il Nazareno agonizzante in uno scenario di desolato dolore.

La Crocifissione, che Boraccesi attribuisce “per affinità stilistiche e tipologiche” al Tatulli della dirimpettaia Natività, anch’essa non firmata ma ascritta da Lomastro al pennello del prolifico pittore di Palo, vede al centro della scena del Calvario l’imponente figura di Gesù Crocifisso, appeso al legno, che taglia in due la tela, contorto dagli spasimi dell’agonia. Il Cristo con il peso del suo corpo giunto all’ultimo debole respiro ha inclinato la croce sporgendosi verso la Madre Dolorosa che occupa tutto lo spazio a sinistra. Vi è quasi un dialogo muto tra Madre e Figlio: gli sguardi sembrano cercarsi, la Vergine addolorata si abbandona toccandosi con una mano il petto lacerato. A destra della croce, nell’altro spazio, Maria Maddalena è in ginocchio in primo piano, la disperazione la fa aggrappare ai lunghi capelli chiari che la sua mano intreccia, il naso e gli occhi, arrossati dal lungo pianto disperato, colorano un volto impallidito; dietro di lei, in piedi sotto l’ombra proiettata dal Crocifisso, Giovanni il prediletto si dispera stringendo forte le sue mani. Sullo sfondo, un gruppetto di angioletti rompe la monotonia di un cielo carico di tempesta, su un accenno sfocato di paesaggio roccioso.

Tatulli sceglie qui, come nella Natività, il forte contrasto dei colori delle vesti: tra il blu del manto di Maria, il giallo e il bianco della Maddalena e il rosso-verde di Giovanni. Un gioco di cromie accese che crea quasi un movimento circolare intorno alla croce, un vortice emotivo ben sottolineato dal movimento delle mani e dei volti, dalle pieghe dei panneggi. Ma è il corpo abbandonato del Cristo, con la carne che quasi si lacera, il volto coronato di spine e sanguinante e quel ricco panneggio bianco al centro della tela, il punto più alto della drammatica rappresentazione.

Il quadro, come altre opere superstiti della chiesa delle Clarisse di Turi, porta i segni del tragico crollo del marzo 1949, quando l’intera volta dell’edificio collassò apportando ferite indelebili alle opere d’arte lì conservate, tra le quali la Crocifissione dove appaiono evidenti i distacchi di colore sulla veste della Madonna. Ferite che, il restauro promosso dall’allora Soprintendente Schettini, strenuo difensore della ricostruzione tout court che altri osteggiavano con deboli argomenti, ha potuto solo in parte mitigare, restituendo integrità a questa bella tela del Tatulli.

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Nella “Natività” la Sacra Famiglia è in luce ma in secondo piano; in avanti, invece, è la sagoma possente dell’evangelista Marco avvolta in una lunga tunica verdastra, riconoscibile dal leone ai suoi piedi, attributo iconografico specifico di questo Santo, spettatore in penombra pronto ad annotare con la piuma bianca che ha tra le dita della mano destra la “buona notizia” – la parola “Vangelo” in greco vuol significare proprio questo – del prodigio di un Dio fatto uomo, destinato a cambiare il corso della storia. Ma qui c’è un serio problema di interpretazione: il Vangelo di Marco è l’unico a non parlare per niente della nascita di Gesù tra quelli canonici del Nuovo Testamento, mentre lo fanno più specificatamente Luca e Matteo. E allora perché il pittore sceglie di rappresentare l’evangelista Marco? Che ci azzecca? Sicuramente Tatulli sa che il Vangelo secondo Marco, ignorandone completamente l’infanzia, avvia il racconto della vita del Messia dal battesimo ricevuto dal Battista sulle rive del Giordano. E’ probabile, quindi, che la scelta di rappresentare Marco sia una forzatura teologica legata alle richieste della committenza, forse particolarmente legata alla devozione verso questo Santo.

Il Tatulli pone il Bambino al centro della raffigurazione, con la Vergine che lo sorregge amorevolmente mentre lo indica con lo sguardo ad un pastorello adorante; Giuseppe, invece, conversa con altri due personaggi venuti a rendere omaggio al Figlio di Dio. Il gioco dei volti, l’intreccio degli sguardi, lo svolazzare degli angeli in alto, il pallio rosso fiammante del barbuto Evangelista, e la scelta di porre la Santa Famiglia su un piano elevato, danno a questa composizione – che in generale si inquadra in un consolidato cliché iconografico e devozionale – un certo dinamismo circolare, quasi fosse un vortice che trova la sua energia vitale nel Bambinello sceso in terra per redimere i peccati dell’umanità.

Giovanni Lerede

  • Le foto sono di Giovanni Palmisano
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Le immagini di Sant’Oronzo a Turi: due statue processionali, un’imitazione del Coppola e l’ex-voto di un miracolato

Siamo ad agosto, mese oronziano sia per Turi sia per le altre città e paesi sotto il patronato celeste del Santo Vescovo Oronzo. Ed è un agosto finalmente ‘normale’, anche se la morsa del virus non lascia ancora in pace il mondo. Nell’anno del bimillenario della nascita del Martire, indicata dalla tradizione agiografica nel 22 d.C, con la Festa che si annuncia da capo’grande’, volgere lo sguardo alle immagini del Protettore è un modo per riprendere un cammino di fede turbato dalla paura appena appena trascorsa.

Ma quante immagini di Sant’Oronzo si venerano a Turi? A parte il mezzo busto ligneo e la statua vestita portate in processione il 25, 26 e 27 agosto; a parte le tantissime edicole votive sparse per il paese – la più importante è quella scolpita nei primi anni del Novecento dall’artista-contadino Giuseppe Palmisano sulla facciata della sua casa in via Massari – a Turi vi sono anche due pitture a olio che rimandano al Santo: 1) la pala d’altare con figura intera nella Chiesa sulla Grotta; 2) un ex-voto ad olio conservato in Municipio.

• La pala d’altare nella Chiesa sulla Grotta

La straordinaria diffusione tra XVII e XVIII secolo del culto di Sant’Oronzo nella Terra d’Otranto trovò nella genialità artistica di Giovanni Andrea Coppola – patrizio, medico, e pittore nato a Gallipoli nel 1597 – buona parte della sua fortuna, avendo proprio il Coppola ‘inventato’ il santino devozionale più famoso del Santo-Vescovo leccese. Se pure altri pittori si siano cimentati con la figura del Martire, la fortuna del suo ‘Sant’Oronzo’ della Cattedrale di Lecce è tangibile. Di quell’icona, commissionata al gallipolino dal vescovo Pappacoda (alla guida della diocesi leccese dal 1639 al 1670) esistono, infatti, innumerevoli repliche sparse in grandi e piccoli luoghi di culto del Santo, compresa la Chiesa di Turi. Si può ben dire, perciò, che quello del Coppola rappresenti l’icona ufficiale del Santo Vescovo, anzi, direi quasi la sua ‘carta d’identità’.

Studi e ricerche sul pittore gallipolino indicano quale fonte principale per la raffigurazione pittorica del Patrono le ‘Sacre Visioni’ di Domenico Aschinia, mistico calabrese che lo stesso vescovo Pappacoda ebbe modo di incontrare a Lecce. Nelle ‘Sacre Visioni’Aschinia testimonia che Sant’Oronzo si sarebbe a lui manifestato “vestito delli vescovili paramenti, che portava in mano un bacolo pastorale…, sopra del quale ci era una piccola croce… aveva in suo capo la mitra, nella quale vi era molto lampeggiante una bianca croce. Era egli pieno di luce, ed aveva tale vaghezza il di lui piviale, che non vi è cosa simile a compararseli. Da’ fianchi di costui vi erano due angeli, quasi vestiti con addobbi a color del cielo, e così fieri per una bellezza inesplicabile, avevano vaghi capelli, sopra le fila d’oro”.

L’altare maggiore della chiesa di Sant’Oronzo di Turi – edificata nella prima metà del ‘700 sulla grotta-cripta che la tradizione indica quale ultimo rifugio del Martire – è abbellita da un’icona di media dimensione ispirata proprio alla celebre tela del Coppola. Si tratta, tuttavia, di una copia ‘semplificata’ che dell’originale leccese conserva evidenti richiami alla postura dinamica del Santo in primo piano e negli angeli ai lati. Se il Coppola ha ambientato la scena in uno schema prospettico aperto, l’ignoto autore di Turi – pittore locale del XVIII secolo senz’altro, dallo stile non lontano alle opere dei Conversi (o forse si tratta proprio di loro?) – ha scelto, invece, di far ‘uscire’ la figura di Sant’Oronzo da un fondo scuro, ‘caravaggesco’, squarciandolo con una diagonale di luce che scende dall’alto. Ma l’opera ha subito troppi danni dall’incuria degli uomini e il restauro degli anni ’90 solo in parte ne ha potuto restituire l’originaria lettura.

Di questo quadro i documenti locali ci dicono poco: il ‘Notamento’ degli oggetti d’arte firmato dal sindaco Giovanni Lomastro nel primo decennio dell’800 segnala, a proposito della chiesa sulla grotta che “l’altare maggiore tiene il quadro di S. Oronzo Vescovo di Lecce”; l’inventario del Feudo di Turi stilato dal Tavolario Luca Vecchione intorno al 1740 non menziona quest’opera, ma parla di un altare posto nella sottostante grotta dedicato al “Glorioso Santo Titolare”.

Tuttavia, se il disegno di questo olio ha i limiti che prima si annotavano, la sua peculiarità è nell’essere l’unica pittura del Protettore rimasta a Turi. Di altre icone, pur menzionate nel già citato ‘Notamento’, non vi è infatti più traccia: sull’altare a destra della chiesa di Sant’Oronzo vi era “il quadro di S. Oronzo, S. Giusto, e Fortunato” (indicata come opera del Tatulli); così come nella scomparsa Cappella di S. Giuseppe intra moenia vi era “un quadro di S. Oronzo coi devoti fratelli a’ piedi. Opra recente del… Tatulli”.

• Ex-voto nel Municipio

Per vederlo è necessario chiedere il permesso al Sindaco pro-tempore di Turi in quanto questo piccolo quadretto a olio è appeso nell’ufficio del Primo cittadino. Con molta probabilità il dipinto apparteneva al ‘Santuario’ sulla Grotta ed era uno dei tanti ex-voto che adornavano le pareti della chiesa superiore, tutti scomparsi nel nulla. La tela arrotolata e privo del telaio di supporto fu casualmente recuperata a metà degli anni ’90 del secolo scorso in uno stipo a muro del Palazzo Municipale; l’allora sindaco Domenico Coppi la fece sistemare nell’attuale cornice.

L’immagine raffigura la miracolosa intercessione del Santo vescovo nei confronti di un giovane ferito ad una gamba da un proiettile sparato da un fucile, forse durante una battuta di caccia o un’imboscata. L’opera, di buona fattura, rappresenta un’intima scenetta d’interni ambientata in una stanza da letto spazialmente definita da un pavimento ‘a scacchiera’ verde-arancio; su di un grande letto a baldacchino, posto a sinistra, tra bianche lenzuola bordate di ricami, un giovane nobiluomo in camicia da notte mostra a due uomini il proiettile metallico estratto, per fortuna senza danno, dalla sua gamba; lo sguardo del ‘miracolato’ è rivolto riconoscente al Santo benedicente che gli appare in alto a destra tra luminose e rigonfie nuvole. I due distinti visitatori fissano il parente o l’amico ferito, mentre ascoltano il racconto dell’accaduto: uno di essi, signorilmente abbigliato con una giacca lunga (redingote) azzurra, cappello nero a due punte, parrucca legata da un nastro nero, è vicinissimo al letto verso il quale si sporge per osservare più da vicino il proiettile che la mano tesa del miracolato mostra agli altri personaggi della composizione. L’altro, più discreto, si limita a sollevare il braccio destro per esprimere tutto il suo stupore; è raffigurato dall’ignoto pittore a figura intera, con parrucca bianca, bastone, giacca blu lunga fino al ginocchio, pantalone nero a mezza gamba, calze bianche e scarpino fibiato.

Si tratterebbe, dunque, della raffigurazione di un prodigioso avvenimento che ha visto coinvolto un esponente della nobiltà locale il quale, riconoscente, ha devotamente commissionato ad un pittore di buona mano la visualizzazione in sintesi del tragico avvenimento accorsogli e della miracolosa intercessione di Sant’Oronzo. Gli abiti dei personaggi raffigurati nell’ex-voto farebbero pensare ad un incidente accaduto nei primi decenni o nella prima metà del XIX secolo.

Giovanni Lerede

Didascalie foto, dall’alto: 1) Ex-voto conservato nell’ufficio del Sindaco in Municipio (foto New Art); 2) busto processionale di Sant’Oronzo (foto Fabio Zita); 3) edicola votiva di Giuseppe Palmisano in via Massari (foto Giovanni Palmisano); 4) pala dell’altare maggiore della Chiesa di Sant’Oronzo sulla Grotta (foto Giovanni Palmisano).

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Ritorna la festa dell’Annunziata e del ‘passa passe’. Un quarto giro dedicato ai bimbi della martoriata Ucraina

Una luminosa mattinata di sole, appena velata da qualche cirro e con un leggero vento profumato di primavera, ha salutato il ritorno del rito di benedizione caro ai turesi: il ‘passa passe’ del 25 di aprile. A causa del Covid-19, infatti, la festa dei bambini adornati di nastri colorati è mancata per due anni, nel sacrosanto rispetto delle norme emanate dal Governo per proteggere la popolazione dall’aggressione pandemica.

In antico i turesi si recavano alle isolate chiesette rurali dell’Annunziata di Rutigliano e Gioia per ‘passare’ i loro piccoli affidandoli alla protezione della Vergine Maria rappresentata nel momento del concepimento, ma dal 1903, terminato il restauro della chiesetta di San Rocco, il rito d’origine campestre si è cominciato a svolgere anche a Turi intorno all’antichissimo edificio di origine bizantina, allora ancora ai margini dell’abitato, così da non costringere più i fedeli a recarsi altrove. Nel 1950 la festa, per decisione del rettore don Donato Totire, venne spostata dal 25 marzo al 25 aprile, già giorno di festa nazionale per la Liberazione. Nel 1965 arrivò a Turi dalla Val Gardena, su commissione del Rettore, l’attuale effige dell’Annunciazione in forma di tronco, opera dello scultore di Ortisei Luigi Santifaller (sulla bella scultura dell’Annunziata e sulla presenza degli artisti altoatesini a Turi troverete un approfondimento sul n. 302 de ‘il paese’, in uscita nei prossimi giorni).

Don Giovanni Amodio, felice per il ritrovato appuntamento di preghiera primaverile e per la buona affluenza di partecipanti, ha officiato il rito in tutte le sue fasi (accompagnato da don Giuseppe Dimaggio) con il pensiero spesso rivolto all’agghiacciante guerra in Ucraina – barbarie disumana e sacrilega come lui stesso l’ha definita durante l’omelia  – in special modo ha rivolto una particolare parola di vicinanza ai bambini vittime innocenti, spaventati dalle bombe e dalle sirene, alle loro madri costrette a fuggire per difendere i loro figli e ai loro papà morti combattendo per la patria. La dedica alla martoriata Nazione dell’est aggredita dai russi è stata concretizzata dall’aggiunta ai tradizionali tre giri di processione dietro l’effige lignea dell’Annuncio di un quarto giro tutto dedicato ai bimbi d’Ucraina, che ha avuto inizio dopo il lancio di palloncini gialli e azzurri.

La benedizione finale dei bimbi, dei loro genitori e padrini/madrine è stata l’occasione per l’Arciprete don Amodio di ricordare tre illustri sacerdoti, definite grandi figure del Novecento turese e suoi punti di riferimento: don Donato Totire, don Vito Ingellis e don Giovanni Cipriani. Tutti i e tre questi grandi uomini di Chiesa hanno contribuito, ognuno a suo modo, alla divulgazione del culto dell’Annunziata nella comunità turese. L’applauso finale partito dalla folla verso la Vergine è stato dedicato un po’ anche a loro.

Giovanni Lerede

Didascalie foto: 1) La processione dell’Annunziata di quest’anno al primo giro (foto G. Lerede); 2) bambini ucraini profughi su un treno per Varsavia; 3) La messa prima della processione davanti alla Chiesetta di San Rocco (foto G. Lerede)

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Certi Calvari del XVII secolo trasudano sangue. Fra Angelo da Pietrafitta nella Chiesa dei Riformati di Turi

Un esempio dei ‘crudi’ Crocifissi del Seicento meridionale è il maestoso Calvario della chiesa francescana di San Giovanni Battista a Turi: un gruppo ligneo policromo sistemato nella seconda cappella sul lato destro della navata comprendente: Crocifisso, Addolorata, San Giovanni Evangelista, Maddalena, Padre Eterno, Spirito Santo e due Angeli reggicalice.

Al centro è l’imponente figura del Cristo in croce ad attirare subito l’attenzione per quelle numerose sottolineature ‘veriste’ su un corpo orrendamente piagato, ferito, cereo, fortemente caricato dal punto di vista emotivo; l’artista scultore volutamente ha insistito sulle piaghe, i lividi, i fiotti abbondanti di sangue da ogni ferita aperta, quasi fossimo di fronte ad una scena horror. Il volto è sofferente, reclinato dal peso di una corona di rovi spinosi più volte girati intorno alla testa. Tutto è realizzato per stimolare la pietas popolare e la contemplazione partecipata, secondo le linee devozionali imposte dalla Controriforma.

Il Calvario turese può, con probabile certezza, essere attribuito al calabrese fra Angelo da Pietrafitta, nativo del cosentino, esponente di spicco di quella folta schiera di frati-intagliatori, i quali, spostandosi da un convento all’altro, hanno saputo riempire le chiese dell’Ordine Francescano del Sud Italia di arredi in legno e soprattutto di Crocifissi dolorosi, realizzati ‘alla spagnola’ sul modello imposto dal caposcuola degli scultori francescani, il siciliano fra Umile Pintorno da Petralia Soprana, il cui seguace più prossimo è stato proprio fra Angelo. Firma e datazione non accompagnano il gruppo scultoreo turese, ma i segni stilistici saltano subito agli occhi in quanto i Crocifissi attribuiti a fra Angelo nella Puglia centro-meridionale (una trentina circa) possono considerarsi delle vere e proprie ‘fotocopie’.

Nella scultura – scrive p. Benigno Francesco Perrone nella sua storia  dei ‘Conventi della Serafica Riforma di San Nicolò in Puglia’ (vol. 3°, pag. 52)  − si riscontrano tutti i connotati, che caratterizzano gli esemplari del maestro calabrese: il volto affusolato, la tornitura delle gambe, la discriminazione dei capelli, la conformazione del torace e il particolare disegno del perizoma”. Il Perrone assegna a fra Angelo anche l’Addolorata e San Giovanni, datando il tutto “attorno al 1697”; tuttavia esclude che la Maddalena, figura assente negli altri Calvari, sia opera del Pietrafitta; è probabile, quindi, l’aggiunta di questo personaggio forse dopo il 1742, visto che nell’Apprezzo del Feudo di Turi il ‘tavolario’ Luca Vecchione, descrivendo la cappella del Crocifisso dei Riformati, scrive: “…dipinto nelle mura, e lamia a fresco li misteri della Passione di Nostro Signore con l’altare in legno, e sotto di essa il Santo Sepolcro con vetriata davanti, il gradino di legname simile con nicchia in cui sta’ collocato il Crocifisso al naturale di rilievo, ed alla destra, e sinistra Nostra Signora Addolorata e S. Giovanni anche di rilievo al naturale…”. La Maddalena, come si può notare, non è menzionata, così come gli Angeli e il Padre Eterno. Il Vecchione, però, ci fornisce una preziosa informazione sull’aspetto originario della cappella: le mura erano dipinte a fresco con “…li misteri della Passione di Nostro Signore”.

La leggenda del Crocifisso che non volle lasciare il Convento

Narra la leggenda che fra Angelo da Pietrafitta scolpì due Crocifissi: uno per il Convento di Rutigliano e l’altro per un paese della sua Calabria. Durante il trasporto verso le terre calabresi di uno dei due Crocifissi avvenne qualcosa di straordinario proprio qui a Turi. Un forte temporale costrinse il convoglio a riparare presso il convento di San Giovanni. Quando smise di piovere si decise di riprendere il viaggio, ma ogni qualvolta si tentava di far uscire dalla chiesa il Crocifisso di fra Angelo veniva giù un forte acquazzone. Dopo vari inutili tentativi fu chiaro che il Crocifisso non ne volesse sapere di lasciare Turi. Si decise così di chiedere al Vescovo il consenso a far rimanere a San Giovanni la grande Croce sofferente. Da allora il Crocifisso dei Francescani è invocato dagli agricoltori turesi durante i periodi di forte siccità, affinché si ripeta il miracolo della pioggia. L’ultima volta è accaduto nel 1990. Dopo un lungo periodo asciutto, il 29 marzo venne deciso di portare in processione − non avveniva da 50 anni − il Crocifisso del frate-scultore. Come è tradizione l’effige del “miracolo” fece il giro del paese, portato a spalla dai sacerdoti.

Giovanni Lerede

Didascalie foto dall’alto: 1) particolare del volto martoriato del Cristo Crocifisso scolpito da fra Angelo da Pietrafitta (foto Giovanni Palmisano); 2) veduta d’insieme del gruppo scultoreo del Calvario nella chiesa San Giovanni Battista di Turi (foto Giovanni Palmisano); 3) processione per le strade di Turi del 1990 per invocare il miracolo della pioggia.