Siamo ad agosto, mese oronziano sia per Turi sia per le altre città e paesi sotto il patronato celeste del Santo Vescovo Oronzo. Ed è un agosto finalmente ‘normale’, anche se la morsa del virus non lascia ancora in pace il mondo. Nell’anno del bimillenario della nascita del Martire, indicata dalla tradizione agiografica nel 22 d.C, con la Festa che si annuncia da capo’grande’, volgere lo sguardo alle immagini del Protettore è un modo per riprendere un cammino di fede turbato dalla paura appena appena trascorsa.
Ma quante immagini di Sant’Oronzo si venerano a Turi? A parte il mezzo busto ligneo e la statua vestita portate in processione il 25, 26 e 27 agosto; a parte le tantissime edicole votive sparse per il paese – la più importante è quella scolpita nei primi anni del Novecento dall’artista-contadino Giuseppe Palmisano sulla facciata della sua casa in via Massari – a Turi vi sono anche due pitture a olio che rimandano al Santo: 1) la pala d’altare con figura intera nella Chiesa sulla Grotta; 2) un ex-voto ad olio conservato in Municipio.
• La pala d’altare nella Chiesa sulla Grotta
La straordinaria diffusione tra XVII e XVIII secolo del culto di Sant’Oronzo nella Terra d’Otranto trovò nella genialità artistica di Giovanni Andrea Coppola – patrizio, medico, e pittore nato a Gallipoli nel 1597 – buona parte della sua fortuna, avendo proprio il Coppola ‘inventato’ il santino devozionale più famoso del Santo-Vescovo leccese. Se pure altri pittori si siano cimentati con la figura del Martire, la fortuna del suo ‘Sant’Oronzo’ della Cattedrale di Lecce è tangibile. Di quell’icona, commissionata al gallipolino dal vescovo Pappacoda (alla guida della diocesi leccese dal 1639 al 1670) esistono, infatti, innumerevoli repliche sparse in grandi e piccoli luoghi di culto del Santo, compresa la Chiesa di Turi. Si può ben dire, perciò, che quello del Coppola rappresenti l’icona ufficiale del Santo Vescovo, anzi, direi quasi la sua ‘carta d’identità’.
Studi e ricerche sul pittore gallipolino indicano quale fonte principale per la raffigurazione pittorica del Patrono le ‘Sacre Visioni’ di Domenico Aschinia, mistico calabrese che lo stesso vescovo Pappacoda ebbe modo di incontrare a Lecce. Nelle ‘Sacre Visioni’Aschinia testimonia che Sant’Oronzo si sarebbe a lui manifestato “vestito delli vescovili paramenti, che portava in mano un bacolo pastorale…, sopra del quale ci era una piccola croce… aveva in suo capo la mitra, nella quale vi era molto lampeggiante una bianca croce. Era egli pieno di luce, ed aveva tale vaghezza il di lui piviale, che non vi è cosa simile a compararseli. Da’ fianchi di costui vi erano due angeli, quasi vestiti con addobbi a color del cielo, e così fieri per una bellezza inesplicabile, avevano vaghi capelli, sopra le fila d’oro”.
L’altare maggiore della chiesa di Sant’Oronzo di Turi – edificata nella prima metà del ‘700 sulla grotta-cripta che la tradizione indica quale ultimo rifugio del Martire – è abbellita da un’icona di media dimensione ispirata proprio alla celebre tela del Coppola. Si tratta, tuttavia, di una copia ‘semplificata’ che dell’originale leccese conserva evidenti richiami alla postura dinamica del Santo in primo piano e negli angeli ai lati. Se il Coppola ha ambientato la scena in uno schema prospettico aperto, l’ignoto autore di Turi – pittore locale del XVIII secolo senz’altro, dallo stile non lontano alle opere dei Conversi (o forse si tratta proprio di loro?) – ha scelto, invece, di far ‘uscire’ la figura di Sant’Oronzo da un fondo scuro, ‘caravaggesco’, squarciandolo con una diagonale di luce che scende dall’alto. Ma l’opera ha subito troppi danni dall’incuria degli uomini e il restauro degli anni ’90 solo in parte ne ha potuto restituire l’originaria lettura.
Di questo quadro i documenti locali ci dicono poco: il ‘Notamento’ degli oggetti d’arte firmato dal sindaco Giovanni Lomastro nel primo decennio dell’800 segnala, a proposito della chiesa sulla grotta che “l’altare maggiore tiene il quadro di S. Oronzo Vescovo di Lecce”; l’inventario del Feudo di Turi stilato dal Tavolario Luca Vecchione intorno al 1740 non menziona quest’opera, ma parla di un altare posto nella sottostante grotta dedicato al “Glorioso Santo Titolare”.
Tuttavia, se il disegno di questo olio ha i limiti che prima si annotavano, la sua peculiarità è nell’essere l’unica pittura del Protettore rimasta a Turi. Di altre icone, pur menzionate nel già citato ‘Notamento’, non vi è infatti più traccia: sull’altare a destra della chiesa di Sant’Oronzo vi era “il quadro di S. Oronzo, S. Giusto, e Fortunato” (indicata come opera del Tatulli); così come nella scomparsa Cappella di S. Giuseppe intra moenia vi era “un quadro di S. Oronzo coi devoti fratelli a’ piedi. Opra recente del… Tatulli”.
• Ex-voto nel Municipio
Per vederlo è necessario chiedere il permesso al Sindaco pro-tempore di Turi in quanto questo piccolo quadretto a olio è appeso nell’ufficio del Primo cittadino. Con molta probabilità il dipinto apparteneva al ‘Santuario’ sulla Grotta ed era uno dei tanti ex-voto che adornavano le pareti della chiesa superiore, tutti scomparsi nel nulla. La tela arrotolata e privo del telaio di supporto fu casualmente recuperata a metà degli anni ’90 del secolo scorso in uno stipo a muro del Palazzo Municipale; l’allora sindaco Domenico Coppi la fece sistemare nell’attuale cornice.
L’immagine raffigura la miracolosa intercessione del Santo vescovo nei confronti di un giovane ferito ad una gamba da un proiettile sparato da un fucile, forse durante una battuta di caccia o un’imboscata. L’opera, di buona fattura, rappresenta un’intima scenetta d’interni ambientata in una stanza da letto spazialmente definita da un pavimento ‘a scacchiera’ verde-arancio; su di un grande letto a baldacchino, posto a sinistra, tra bianche lenzuola bordate di ricami, un giovane nobiluomo in camicia da notte mostra a due uomini il proiettile metallico estratto, per fortuna senza danno, dalla sua gamba; lo sguardo del ‘miracolato’ è rivolto riconoscente al Santo benedicente che gli appare in alto a destra tra luminose e rigonfie nuvole. I due distinti visitatori fissano il parente o l’amico ferito, mentre ascoltano il racconto dell’accaduto: uno di essi, signorilmente abbigliato con una giacca lunga (redingote) azzurra, cappello nero a due punte, parrucca legata da un nastro nero, è vicinissimo al letto verso il quale si sporge per osservare più da vicino il proiettile che la mano tesa del miracolato mostra agli altri personaggi della composizione. L’altro, più discreto, si limita a sollevare il braccio destro per esprimere tutto il suo stupore; è raffigurato dall’ignoto pittore a figura intera, con parrucca bianca, bastone, giacca blu lunga fino al ginocchio, pantalone nero a mezza gamba, calze bianche e scarpino fibiato.
Si tratterebbe, dunque, della raffigurazione di un prodigioso avvenimento che ha visto coinvolto un esponente della nobiltà locale il quale, riconoscente, ha devotamente commissionato ad un pittore di buona mano la visualizzazione in sintesi del tragico avvenimento accorsogli e della miracolosa intercessione di Sant’Oronzo. Gli abiti dei personaggi raffigurati nell’ex-voto farebbero pensare ad un incidente accaduto nei primi decenni o nella prima metà del XIX secolo.
Giovanni Lerede
Didascalie foto, dall’alto: 1) Ex-voto conservato nell’ufficio del Sindaco in Municipio (foto New Art); 2) busto processionale di Sant’Oronzo (foto Fabio Zita); 3) edicola votiva di Giuseppe Palmisano in via Massari (foto Giovanni Palmisano); 4) pala dell’altare maggiore della Chiesa di Sant’Oronzo sulla Grotta (foto Giovanni Palmisano).
Add a Comment