Si è conclusa nella serata di domenica 22 dicembre la straordinaria annata musicale dell’Accademia “Chi è di Scena?!”, diretta dal M° Ferdinando Redavid. Una stagione artistica che ha visto l’esordio del particolarissimo sodalizio culturale con l’APS“Cultura e Armonia” della Willy Green Technology e dalla cui sinergia ne è derivato un articolato calendario di eventi musicali, scadenzato in vari periodi dell’anno. Del resto la stessa kermesse musicale del Festival del Belcanto, punto di forza da anni dell’Accademia, ha visto quest’anno prendere il via già dal 17 di marzo quando nella Chiesa Madre si è tenuto un concerto evento di musica sacra con l’esecuzione della “Messa di Requiem in Re minore K 626”di W.A. Mozart per soli, coro e orchestra, seguito nel mese mariano di maggio dall’esecuzione presso la Chiesa di Santa Maria Ausiliatrice del dolcissimo concerto “Ave Maria”. Tra la fine di luglio e gli inizi di agosto, come da tradizione, si entrati nel clou della kermesse, con la messa in scena nella serata del 28 luglio dell’Opera lirica “Madama Butterfly”, nel centenario dalla morte del suo compositore Giacomo Puccini, cui ha fatto da prologo nella giornata precedente l’incontro propedeutico all’ascolto “Madama Butterfly e il tormento d’amore nel dramma pucciniano”. In quest’occasione, dal 2 al 4 di agosto, presso Palazzo Cozzolongo è stata aperta al pubblico la mostra internazionale “Visse d’arte” dell’artista Corrado Veneziano, e a seguire la serata di conferimento del Premio dell’omonimo Festival alla cantante lirica pugliese Amelia Felle, ora preparatrice di futuri talenti della lirica.
Due eventi ulteriori hanno chiuso il Festival. Il 13 di settembre, dinanzi Palazzo Gonnelli, è andato in scena il concerto della sorprendente Orchestra delle Chitarre De Falla guidata dal M° Pasquale Scarola, mentre nella serata del 25 di ottobre, “Giornata Internazionale degli Artisti”, presso la Sala Conferenze della Biblioteca di Turi, è stata la volta del concerto-spettacolo del Duo InCanto Piano, composto dal soprano e voce narrante Natalizia Carone e dal pianista Giuseppe Bini, medesimi autori del lavoro “Racconti in musica di una bambola viaggiatrice” liberamente ispirato a una vicenda reale vissuta dallo scrittore Franz Kafka di cui quest’anno ricorre il centenario della morte.
Al Festival ha fatto seguito la rassegna “Melodie di Pace”, pensata per dar voce alla musica quale linguaggio universale capace di unire e pacificare i cuori. Il primo dei due eventi di questa rassegna di fine anno, intitolato “Concerto per Santa Cecilia”, ha visto nella serata del 22 novembre scorso, presso le sale del Palazzo Cozzolongo (sede di “Cultura e Armonia”) il clarinettista Ferdinando Redavid, la pianista Annamaria Fortunato e la voce calda del soprano Valentina De Pasquale proporre un ascolto guidato direttamente dagli stessi musicisti, al fine di favorire un’interazione più intima e meno formale tra gli artisti e il pubblico, mediante un confronto tra il repertorio dei grandi compositori e la musica napoletana di fine’800 e inizi ‘900. Il secondo appuntamento, invece, il 22 dicembre, alle porte del Santo Natale. In una magica atmosfera di festa, nella Chiesa Barocca di San Domenico degli Scolopi, gli allievi delle classi di canto dell’Accademia, sotto la guida dei maestri Lorenzo Salvatori e Valentina De Pasquale si sono esibiti in un emozionatissimo concerto di noti brani natalizi tratti dal repertorio pop e gospel.
Un breve itinerario per le chiese storiche di Turi – San Giovanni, Chiesa Madre, Santa Chiara – alla scoperta della rappresentazione del ‘mistero’ di Betlemme può essere il modo per guardare il Natale con lo sguardo semplice degli Avi e cogliere il significato vero di un avvenimento che ha deviato la storia del mondo.
Chiesa di San Giovanni Battista • La più bella delle “Natività” sotto i nostri occhi è un ‘mistero gaudioso’, una miniatura che quasi non la noti. Sta lì ai margini con altre 14 piccole scene della vita di Gesù e Maria nel dipinto della “Madonna del Rosario” su un altare in pietra sulla sinistra dell’ex-Chiesa dei francescani riformati di S. Giovanni Battista. In origine il quadro abbelliva il gentilizio della famiglia Cavallo (la prima a destra vicino all’ingresso laterale), il cui capostipite Giovanni Antonio è raffigurato quale committente dell’opera. È di antico pennello (1595), eseguita probabilmente dal pittore bitontino (di chiare origini iberiche) Alonso de Corduba, essendo quello di Turi un quadro molto simile a una pittura dello stesso tema e dello stesso autore a Ruvo. I 15 “Misteri” del Rosario inquadrano il trono della Vergine e il Bambino, San Domenico e Santa Caterina ai loro piedi: protagonisti assoluti della scena come in tutte le rappresentazioni di questo genere, che ebbero una grande diffusione dopo l’epocale vittoria di Lepanto contro i maomettani. Il terzo “Mistero gaudioso”, a sinistra, raffigura un presepe; nel piccolo spazio ovale, con abilità da miniaturista, il pittore ha inserito tutti gli elementi tradizionali della Natività: la Sacra Famiglia, il bue e l’asinello, un pastorello adorante, l’Angelo e altri personaggi stilizzati in lontananza; nel piccolo spazio trovano posto anche una colonna classicheggiante, un capanno con tetto in paglia, una roccia e degli arbusti, il tutto coronato da un cielo nuvoloso che tende alle tonalità del tramonto.
Chiesa Madre dell’Assunta • Un’altra tappa di questo breve itinerario d’arte a tema natalizio non può che essere la Chiesa Matrice di Maria Santissima Assunta in Cielo e l’altare della Madonna di Terrarossa o del Rosario nell’omonima cappella (la prima entrando a sinistra). L’altare in legno dipinto, piuttosto malridotto e ora per fortuna in restauro, è della prima metà del Settecento – anni quelli di grande trasformazione per l’antica Collegiata turese – ed accoglie nella nicchia centrale la rinascimentale “Madonna di Terrarossa” firmata da Stefano da Putignano; intorno ad essa la sequela, anche qui, dei 15 piccoli quadretti pittorici chiusi da cornicette rococò. Tra questi, naturalmente, vi è quello della “Natività”. Vennero realizzati, insieme all’altare, nel 1742 (come recita il cartiglio) per volontà del medico-fisico Giacomo Zita, con molta probabilità dal pittore Donato Paolo Conversi che in quegli anni era membro influente della Confraternita del SS. Rosario che nella cappella aveva sede, oltre ad essere, con il favore del barone Francesco III Moles, amministratore dell’Università di Turi. Il fotogramma della Nascita di Gesù vede rappresentati su tre piani prospettici tutti i protagonisti tradizionali della scena presepiale: in primo piano i pastorelli, in mezzo la Santa Famiglia con il Bambino avvolto tra le calde braccia materne (il particolare meglio riuscito); sul fondo, il bue e l’asinello, con alcuni elementi architettonici, uno spicchio di cielo e la chioma di un albero. La pittura appare più ‘grezza’ rispetto al “Rosario” dei Riformati, in alcune parti quasi accennata, con un fascio di luce che illumina la stalla di Betlemme da sinistra lasciando in piena ombra San Giuseppe.
Chiesa di Santa Chiara • Dalle miniature passiamo ad ammirare l’unica icona pittorica turese tutta dedicata all’evento di Betlemme: la “Natività” attribuita al pennello di Samuele Tatulli, posta su un altare laterale della Chiesa ex-conventuale di Santa Chiara. È una tela di media dimensione nella quale il maestro, nato a Palo del Colle nel 1754, raffigura Gesù Bambino al centro della scena, con Maria Santissima che lo sorregge amorevolmente mentre lo indica con lo sguardo ad un pastorello adorante; Giuseppe, invece, conversa con altri due personaggi venuti a rendere omaggio al Figlio di Dio. Il gioco dei volti, la diagonale degli sguardi, lo svolazzare degli angeli, il pallio rosso fiammante del barbuto Evangelista Marco e la scelta di porre la Santa Famiglia su un piano prospetticamente rialzato, danno a questa composizione un dinamismo circolare, quasi fosse un vortice la cui energia vitale è nel Bambino venuto a redimere i peccati dell’umanità. Il gioco prospettico della luce scelto dal Tatulli pone la Santa Famiglia di Nazareth in piena luce ma indietro; in avanti, in leggera penombra, è invece la sagoma possente di San Marco, riconoscibile dal leone ai suoi piedi. Si tratta di una ‘intrusione’, una forzatura comunicativa, essendo il Vangelo secondo Marco l’unico dei quattro ufficiali di Santa Romana Chiesa a non riferire della nascita di Gesù.
Giovanni Lerede
Didascalie foto di Giovanni Palmisano: 1) ‘Natività’ con San Marco Evangelista, Samuele Tatulli, Turi, Chiesa di Santa Chiara; 2) ‘Madonna del Rosario’, particolare della ‘Natività’, Alonso de Corduba (attrib.), 1595, Chiesa di San Giovanni Battista, Turi; 3) Altare Madonna di Terrarossa (o del Rosario), particolare della ‘Natività’, Donato Paolo Conversi (attrib.), 1742, Chiesa Madre dell’Assunta, Turi.
L’Associazione di Promozione Sociale ‘Cultura e Armonia’ lancia la prima stagione di eventi ospitata presso Palazzo Cozzolongo (via M. Orlandi 10/12), Turi, organizzata grazie al supporto di Willy Green Technology, con il patrocinio gratuito della Regione Puglia (concesso con decreto 380 del 5/9/2024) e la collaborazione dell’Accademia di Belle Arti di Bari. La prima stagione di eventi è stata presentata il 16 ottobre presso la sede della Presidenza della Regione Puglia. Si parte con la rassegna “Disordine – Il caos che rigenera” e sono tantissimi gli appuntamenti in programma dedicati a letteratura, cinema, arti visive e musica. Un vero e proprio percorso che esplora il concetto di disordine, rileggendo il caos come forza creativa capace di generare trasformazioni e nuove prospettive. Un invito al cambiamento “Disordine – Il caos che rigenera” non è solo una provocazione, ma uno stimolo a rileggere il mondo attraverso una lente diversa. Il disordine sarà indagato come potenziale rigenerativo in grado di rinnovare la visione del reale.
LE PROTAGONISTE E I PROTAGONISTI DI UN PROGRAMMA IN EVOLUZIONE
• Disordine – Fotogrammi, istantanee del disordine. Il mercoledì l’appuntamento è con le proiezioni cinematografiche di film d’autore. Di seguito i primi titoli: Il grande capo (2006, Lars von Trier), Boyhood (2014, Richard Linklater), Un affare di famiglia (2018 Hirokazu Kore’eda), The whale (2022, Darren Aronofsky), L’ordine del tempo (2023, Liliana Cavani) e tante altre visioni ancora in programmazione.
• Disordine – Donne che sovvertono l’ordine. Il giovedì l’appuntamento è con la rassegna letteraria curata da Irene Martino, docente presso l’Università Suor Orsola di Napoli e il Liceo Ricciotto Canudo di Gioia del Colle. Tanti gli incontri con le più autorevoli voci della letteratura contemporanea: Gabriella Genisi, Donatella Puliga, Donatella Caprioglio, Graziana Brescia e Mario Lentano, Ilaria Gaspari, Claudia Durastanti, Emanuela Mancino e ancora altre pagine presto in cartellone.
• Disordine – L’armonia del disordine. Il venerdì (e non solo) l’appuntamento è con la musica e l’arte. La rassegna musicale è curata da Cosimo Angiulli, responsabile musica Tekmore. Concerti e djset tanto per iniziare, ed ecco alcuni nomi: Francesco Massaro, Agenda dei buoni propositi, Melga, Playgirls from Caracas e non è tutto, ancora tanta musica ci aspetta.
• Disordine – L’estetica del caos. Il venerdì (e non solo) l’appuntamento è con l’arte e la musica. Per iniziare la personale di Rossella Cea (con la speciale partecipazione del pianista Nazareno Ferruggio), poi la mostra di Giuseppe Marinelli, e ancora la collettiva organizzata in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Bari. E questo è solo l’inizio, perché ci sarà ancora più arte in cantiere. Disordine non è solo una rassegna ma un atto di resistenza e d’amore nei confronti di un futuro ancora da scrivere. La rassegna Disordine – Il caos che rigenera è curata da Tekmore Studio.
IL CALENDARIO DI OTTOBRE
• 17 ottobre | ore 18:30 | Disordine – Donne che sovvertono l’ordine. Incontro con Gabriella Genisi. Il primo imperdibile evento della rassegna è stato con la straordinaria Gabriella Genisi, scrittrice barese e creatrice dell’iconica Lolita Lobosco, protagonista della serie TV di successo di Rai Uno. L’evento è parte della rassegna che celebra le grandi autrici contemporanee curata da Irene Martino.
• 18 ottobre | ore 18:30 | Disordine – L’estetica del caos | Inaugurazione della personale di Rossella Cea con la speciale partecipazione di Nazareno Ferruggio. Si prosegue il viaggio nel Disordine – Il caos che rigenera con ‘Mare Compresso’, la suggestiva personale di Rossella Cea. Una collezione di dieci opere astratte che esplorano il caos rigenerativo attraverso la tecnica del “colaggio”, offrendo un viaggio emotivo tra colore e materia, in un disordine creativo che si adatta all’interiorità di chi osserva. Tra gli ospiti la prof.ssa Mariangela Agliata, direttrice artistica del movimento culturale ‘Home of Art’, Francesco Notaro, Private Banker di Banca Generali Private di Bari. Modera l’incontro Vito Mirizzi, firma della ‘Gazzetta del Mezzogiorno’, con la speciale partecipazione del curatore d’arte Giorgio Bertozzi. A seguire l’artista presenterà anche il suo libro, ‘Armonie Riverse’, edito da Rupe Mutevole, insieme a Rino Campanelli, critico letterario e autore della prefazione. Nazareno Ferruggio, uno dei pianisti italiani più apprezzati e premiati a livello internazionale, suonerà la colonna sonora della serata: un recital che spazia da Philip Glass, Erik Satie, Sibelius fino a Chopin. I primi due eventi sono a ingresso libero, un’occasione per partecipare e tesserarsi per l’intera stagione.
Alcune dichiarazioni di relatrici e relatori alla conferenza stampa del 16 ottobre a Bari, moderata da Maria Liuzzi, giornalista televisiva di Telenorba – Giovanna Giannandrea, amministratrice unica Willy Green Technology: “Come azienda impegnata nello sviluppo e nella sostenibilità, crediamo fermamente nel potere del cambiamento. Proprio come il caos che questa rassegna esplora, la capacità di trasformarsi e trasformare è una forza creativa che rigenera prospettive, idee e visioni del futuro. Per noi, supportare la nuova stagione di eventi di Cultura e Armonia significa contribuire alla crescita culturale ed economica del nostro territorio”. Emanuele Ventura, presidente onorario di ‘Cultura & Armonia’: “La rassegna ‘Disordine’ di Cultura e Armonia riprende come tema un argomento dibattuto nella storia da sempre. Così come la sua relazioneall’idea di genialità, di forza propulsiva d’innovazione per la creazione di un ‘nuovo ordine’. Quello che facciamo con questo ciclo di appuntamenti è mostrare come ci si possa aprire al cambiamento per segnareuna svolta nella vita culturale e nel futuro di questo territorio e delle giovani generazioni”.
Irene Martino, docente a contratto presso l’Università Suor Orsola di Napoli, docente di letteratura italiana presso il Liceo Ricciotto Canudo di Gioia del Colle: “Perché pensare ad una rassegna letteraria dal titolo: “Disordine – Il caos che rigenera? Nella sua accezione originaria, il disordine può essere recuperato nel suo senso più profondo, ossia di pienezza e di nuova direzione. Risiede appunto in questa valenza semantica il significato di una rassegna letteraria al femminile con la presentazione di opere che hanno indagato il caos del mondo, ciascuna per il proprio ambito, come rinascita, trasformazione ed evoluzione”.
INFO: comunicazione@tekmore.it
Didascalie foto: 1) Un momento della conferenza stampa a Bari presso il palazzo della Presidenza Regione Puglia; 2) Rossella Cea.
“Non sono solo, ho un libro con me”. In questa bella frase è racchiuso tutto l’amore per i libri e per la lettura che Alina Laruccia da 14 anni, con successo bisogna riconoscere, s’impegna a trasmettere ai giovani lettori delle scuole pubbliche di Turi e dintorni. E l’amore viscerale per la parola scritta dell’instancabile animatrice della rassegna letteraria turese ‘Didiario’ è ricambiato in uno scambio reciproco d’affetto con gli studenti, gli insegnanti e i genitori dei tantissimi ragazzi coinvolti in questi lunghi anni. Diamo qualche cifra di questo legame vivo, profondo tra gli studenti e la lettura: 28.500 ragazzi e ragazze interessati all’iniziativa nei vari istituti scolastici del Sud-Est Barese e non solo; 167 autori invitati a presentare nelle scuole i loro libri; 330 titoli selezionati. Numeri parlanti, incontestabili che la sera del 5 ottobre nella sala conferenze delle Clarisse hanno dato concretezza al successo dell’iniziativa portata avanti caparbiamente da Alina Laruccia.
Il “viaggio fatto di parole, emozioni e cultura”, come ha scritto la stessa curatrice sulla sua pagina fb, è cominciato nel migliore dei modi con la musica d’autore e il festoso chiasso di bambini-lettori, bravi nel passaparola dei versi di Antonella Sbuelz – ‘Il mondo è triste senza di me’ – recitati avendo in mano un libro. Tra quelle antiche mura, che un tempo lontano ha ospitato lavoro e preghiera di donne sacrificate, ora si anima la cultura, e quei libri tenuti in mano dai bambini tra l’entusiasmo degli adulti presenti (hanno richiesto il bis!) sono storie adatte a catturare l’attenzione dei più piccoli per insegnare loro “a leggere per leggere” come ha detto il Sindaco Giuseppe De Tomaso nel suo intervento, aggiungendo altri concetti significativi: 1) ai bambini si deve “insegnare umanità non identità”; 2) leggere significa “viaggiare restando fermi”; 3) leggere significa “acquisire padronanza dei problemi e degli argomenti”; la letteratura è “l’immagine migliore di un popolo”. E ha lodato la rassegna (e la sua animatrice) in quanto, la stessa, “svolge un ruolo pubblico pur essendo prodotta da un’associazione privata”. Alina Laruccia, nel presentare gli autori e i libri della quattordicesima edizione 2024-25 ha svelato la metodologia utilizzata nella scelta dei temi “che devono far riflettere, guidare i giovani lettori” e perciò sono sempre legate all’attualità. “Tematiche scelte da me – ha detto – aiutata in questo compito dal gruppo di lettura delle Scuole Superiori”.
Ed ecco gli autori che si presentano (quasi) tutti in video, tra il serio e il faceto: Luigi Ballerini, Roberto Morgese, Saschia Masini, Andrea Visibelli e Davide Panizza, Laura Cappellazzo, Laura Bonalumi, Giuseppe Camicia, l’unico a parlare in sala dal vivo essendo qui della zona. Importanti i temi proposti ai ragazzi: caporalato e sfruttamento del lavoro, donne dell’Iran costrette a scappare, disturbi alimentari e disastri ambientali, vivere senza tecnologie, gli anni ’80 del secolo scorso visti attraverso la musica, la Ferrero… L’assessore comunale alla Cultura Teresa De Carolis, intervenendo, ha anticipato una collaborazione che si va definendo in questi giorni proprio con ‘Didiario’: la realizzazione di un laboratorio letterario intitolato: ‘caro Antonio ti scrivo…’. Un progetto, dice l’Assessore, per mettere in atto un’idea programmatica dell’Amministrazione De Tomaso, con l’obiettivo di focalizzare intorno alla figura di Antonio Gramsci a Turi un punto di attrazione culturale (e turistica) per la nostra città che ambisce al titolo di ‘capitale della Cultura’. Alle scuole sarà proposto un programma di “scrittura libera degli alunni sul grande pensatore”, che proprio nella casa di reclusione di Turi ha generato attraverso lettere, racconti e studi gran parte del suo pensiero filosofico. “Turi, alla stregua di altre città che hanno investito su altre figure importanti della Cultura – ha detto la De Carolis – deve poter attirare turisti verso la ‘casa’ di Gramsci”. La consigliera comunale Daniela Di Bello, insieme alla collega di Amministrazione Annamaria Di Venere, ha sottolineato il coinvolgimento attivo nella rassegna letteraria di alcune attività commerciali, che ospiteranno nelle loro vetrine i libri di ‘Didiario’.
Alina Laruccia, a conclusione della bella serata di presentazione della XIV edizione di ‘Didiario’, dai social ha inteso rivolgere un pensiero speciale ai bambini destinatari principali dell’iniziativa, bambini, scrive, “che hanno portato con sé una ventata di gioia e spensieratezza. Il vostro entusiasmo è il futuro della cultura, e il nostro compito è nutrire la vostra sete di conoscenza. Ricordate: leggere è aprire le porte di un mondo di avventure e sogni che non finisce mai”.
Laura Bonaluni ha definito ‘Didiario’ “una famiglia” o meglio, come ha aggiunto Alina, “una comunità leggente, orgogliosa di amare i libri”. “Concludiamo questa giornata – ha poi scritto su fb – con la consapevolezza di aver vissuto un’esperienza che nutre la mente e l’anima, e con la certezza che il legame tra cultura, storia e comunità non fa che rafforzarsi ogni anno. Grazie per essere stati parte di questo percorso. Ci rivediamo in questi mesi, per deliziarvi con ricche sorprese, emozioni e, soprattutto, libri!”.
A vent’anni dall’uscita di ‘Parole a memoria’ e a sei dalla ‘Grammatica turese’, il prof. Raffaele Valentini, ex-docente di lingue, studioso di lungo corso, scrittore, giornalista, nonché direttore del nostro giornale ‘il paese’ torna a parlare della lingua turese, della lingua dialettale, con un terzo volume dal titolo ‘Maleparole’. Una trilogia di fondamentale importanza, edita da ‘il paese’, in quanto mette nero su bianco, ancorando al tangibile una cultura fino a qualche anno fa prettamente orale, cioè trasmessa a memoria di padre in figlio senza punti di riferimento letterari, decodificati e proprio per questo a rischio estinzione.
Un pericolo, in parte scongiurato – tanto, però, è andato purtroppo perduto per sempre – da lavori di ricerca come quelli messi in atto in un lungo arco di tempo dal prof. Valentini poi sfociati nei tre libri e in articoli pubblicati su ‘il paese’, giornale fin dalla nascita, nel lontano 1988, attento alla cultura in genere e a quella popolare in particolare.
Nella bella serata di presentazione di ‘Maleparole’, il 19 agosto scorso, organizzata dalla Pro Loco, dal Comitato Feste Patronali e da ‘il paese’, di fronte ad un attento e numeroso pubblico – segno evidente dell’attenzione verso i temi della cultura locale ed anche di stima per l’Autore che a questi temi ha dedicato tutta la sua vita – si è parlato molto dell’importanza delle culture e delle innumerevoli lingue dialettali della nostra cara Italia.
L’atmosfera di amicizia e gioia al Chiostro dei Francescani, una volta luogo di meditazione dei Frati Riformati, ha coinvolto tutti mescolando: dibattito – gli interventi di Lia Daddato (vicedirettore de ‘il paese’), Annalisa Rossi (Soprintendente agli Archivi e alle Biblioteche della Lombardia), Raffaele Valentini, il sindaco Giuseppe De Tomaso, musica ruspante (Oronzo Di Pinto con un pezzetto della nostra Banda musicale cittadina ‘Don Giovanni Cipriani’) e belle letture dialettali teatrate.
Raffaele Valentini ha introdotto brevemente la serata, poi ha passato la parola al Sindaco, il quale ha elogiato il lavoro di ricerca portato avanti dallo studioso turese, definendo il suo ‘Maleparole’ «un lavoro non solo eccellente ma anche divertente». De Tomaso ha poi citato Gramsci, per sottolineare l’importanza dei linguaggi locali nella formazione intellettuale, riferendo di una lettera dalla prigionia con cui raccomandava alla sorella Teresina di lasciare parlare in sardo i suoi bambini per non commettere l’errore di mettere “una camicia di forza” alla loro fantasia invece si “sviluppino spontaneamente nell’ambiente naturale in cui sono nati…”.
Lia Daddato ha sottolineato l’importanza del progetto editoriale de ‘il paese’: «Sono quasi 40 anni che condividiamo con Raffaele la passione per la ricerca e l’attenzione per questo nostro paese, una passione che ci accomuna dagli anni ’80 del secolo scorso, a partire dall’esperienza dell’Arci, una bella esperienza, madre di tante amicizie e tanti progetti, tra cui appunto la nostra rivista ‘il paese’, che ormai vanta più di 320 numeri e tante parole, articoli, ricerche, approfondimenti”. La lingua, il dialetto, i modi di dire, ha continuato la Vicedirettrice de ‘il paese’ “hanno sempre avuto un posto di rilievo nel nostro giornale: ‘Maleparole’ è il 3° libro di Raffaele edito da ‘il paese’ e dedicato al dialetto, ma ricordiamo ‘Parole a memoria’ edito nel 2004 e la ‘Grammatica turese’ del 2018” ed anche le prime tre lettere del ‘Dizionario turese’ pubblicate sui quaderni ‘Sulletracce’ del Centro Studi».
La dott.ssa Daddato ha spiegato i motivi di tutta quest’attenzione al dialetto: «Non solo perché il nostro Direttore ne è un cultore ostinato e appassionato, ma perché crediamo che il dialetto, la lingua della nostra comunità, sia l’espressione più autentica della nostra cultura popolare, sia la sua voce, un patrimonio immateriale che per sua natura rischia di rarefarsi e scomparire». Ma come evitare tutto questo? «Opere come quelle di Raffaele ci offrono una soluzione perché non soltanto ci aiutano a conservare memoria dei suoni, delle parole, delle espressioni, ma ci offrono modi nuovi di esercitare la nostra lingua, scongiurandone la scomparsa”. Infine, un appello: “Il nostro paese ha bisogno di un progetto che metta radici più a fondo, un progetto che s’impegni a valorizzare il nostro patrimonio culturale con la stessa cura e attenzione che Raffaele Valentini ha dedicato al nostro dialetto, valorizzandolo e restituendocelo come una parte di noi».
La dott.ssa Annalisa Rossi nel suo intervento cita il Pasolini del 1951: «”Se una lingua si compie nel suo passaggio alla dimensione scritta, prima, e a quella letteraria, dopo, il volumetto ‘Maleparole’ disegna la strada, con una certezza, suggerita dalla citazione da ‘dialetto e poesia popolare’ di Pier Paolo Pasolini a p. 88: “Quel contadino che parla il suo dialetto è padrone di tutta la sua realtà. Personalmente ritengo che a ragione la parola ‘contadino’ possa essere sostituita dalla parola ‘cittadino’, abilitando, così, la lingua dialettale a dispositivo garante della possibilità di essere pienamente se stessi, in un tempo in cui il concetto stesso di ‘comunità’ ha bisogno di superare, finalmente e felicemente, il confine di un comune, di un territorio, di un Paese…». «La poesia dialettale – ha continuato la dott.ssa Rossi citando ancora Pasolini – è un paesaggio notturno colpito ogni tanto dalla luce”… Come dire, il dialetto nella sua struttura è ontologicamente poetico e con quella dimensione di fisicità e concretezza che è propria delle comunità».
Perché Maleparole nel titolo e versi inversi nel sottotitolo, si è chiesta Annalisa Rossi? «Come dire che il dialetto sia costituito e strutturato di male parole. Cosa sono le male parole? Sono parole cattive, sono parolacce, cioè pronunciate con un’intenzione ulteriore, malevole? Nel volume Raffaele fa due operazioni: un primo livello è quello di conferire dignità di parola scritta a quella che nasce e vive come lingua orale, poi fa un salto ulteriore: la traduzione dall’italiano o da altre lingue – significativa è il brano di Shakespeare –nella lingua dialettale turese di questi contenuti, assegnando la dignità di una lingua poetica al dialetto turese». Annalisa Rossi ha dunque elogiato il lavoro di Valentini riconoscendogli il merito di questo salto di qualità.
Raffaele Valentini, chiamato in causa dalla domanda della Rossi ha detto: «Maleparole è tutto questo. La mia intenzione è quella di dare al nostro dialetto una dignità propria soffocata nel tempo. L’aver tradotto opere come l’Amleto mi ha dato una soddisfazione profonda perché l’impresa mi ha dato la conferma di come il dialetto possa essere efficace, ne avrete dimostrazione a breve nella recitazione di brani del libro da parte di amici che mi hanno aiutato questa sera».
La bella serata estiva, minacciata ma risparmiata dal maltempo, è stata intervallata da letture ben recitate di alcune ‘Maleparole’, a cura di: Annalisa Scisci, Elena Giannico, Francesco Lerede, Irene Mastronardi, Mario Tateo (bravo a recitare a braccio e in lingua turese un brano dell’Amleto di Shakespeare “Essere o non essere, cùsse iè u uèje!…”), Pasquale Del Re (anch’egli studioso e autore di dialetto), Pasquina Cascarano.
Giovanni Lerede
Didascalie foto: 1) Raffaele Valentini con le voci recitanti; 2) Raffaele Valentini con Lia Daddato e Annalisa Rossi; 3) L’Autore con il sindaco di Turi Giuseppe De Tomaso; 4) Panoramica del Chiostro dei Francescani durante la presentazione di ‘Maleparole’.
La Regione Puglia da qualche anno ha compreso, con lungimiranza, il vicolo cieco in cui il turismo regionale si stava cacciando. Un’offerta turistica prettamente balneare non più del tutto sostenibile, perciò ha promosso nei mesi estivi (e non), attraverso il proprio Polo Arti Cultura Turismo – PACT, numerose iniziative culturali di qualità medio-alta in grado di attrarre turisti anche nelle città e nei paesi dell’entroterra, chiamate sempre più ad attrarre flussi turistici e decongestionare le zone costiere, rendendo il fenomeno turistico regionale più sostenibile e virtuoso. Iniziative che hanno anche il loro focus nella creazione di quella che deve essere una definita impronta culturale che i nostri luoghi e la nostra Regione devono scolpire nella mente del turista.
Nel novero di queste manifestazioni, rientra senza dubbio, anche per l’elevato livello dell’offerta culturale prestata, il ‘Festival del Belcanto’ di Turi, kermesse estiva che da ben XIV edizioni si svolge nella nostra cittadina e che si è ormai da tempo ritagliata a tutti gli effetti un interessantissimo spazio nel panorama della lirica pugliese e nazionale, mantenendo sempre fede alla propria “mission”: quella di dimostrare che le passioni ed i sentimenti raccontati dalla lirica possano e debbano incuriosire ed appassionare tutti, comprese le nuove generazioni, facendo così uscire la lirica fuori dal concetto di ‘nicchia’, di modo che, tutti possano appropriarsi e godere di ciò che l’Unesco ha riconosciuto quale patrimonio immateriale dell’Umanità.
Proprio a supporto della destagionalizzazione dell’offerta turistica, quest’anno, sempre col patrocinio della Regione Puglia, il “Festival” ha avuto il suo prologo già nel periodo di Quaresima, con un primo evento, ed in particolare nella giornata del 17 marzo nella suggestiva cornice della Chiesa di Santa Maria Assunta di Turi, allorquando l’Orchestra Filarmonica Pugliese-OFP diretta dalM° Ferdinando Redavid, la Corale Jubilate di Conversano edi Soli: Valentina De Pasquale soprano, Margherita Rotondi nel ruolo di contralto, Giuseppe Cacciapaglia tenore eLorenzo Salvatori basso, hanno magnificamente portato in scena gratuitamente per il pubblico, la “Messa di Requiem in Re minore K 626, per Soli, Coro e Orchestra” del genio austriaco W.A.Mozart. Musica “sacra” che ha visto un’ulteriore e secondo evento il 21 maggio, quando presso la Chiesa Santa Maria Ausiliatrice in Turi, in concomitanza con la novena per S. Maria Ausiliatrice si è realizzata una serata in cui si è ripercorso un viaggio nella storia del dolcissimo canto alla “Vergine Maria” che ha attraversato i secoli, presentando brani di Back/Gounod, Piazzolla, Verdi, Mercadante, Caccini e Shubert arrangiati dal M° Angelo Basile direttore del quintetto d’archi “Orchestra della Magna Grecia” con la partecipazione di Angela Lomurno, soprano dalla vocalità assai versatile.
Oltre al patrocinio della Regione Puglia e del Comune di Turi, la XIV edizione del Festival ha visto l’ingresso come main sponsor prima della Willy Green Teconology Srl, e da maggio anche dell’Aps “Cultura & Armonia” ad essa collegata, fondata da Emanuele Ventura e Giovanna Giannandrea i quali con grande lungimiranza e spirito d’iniziativa hanno pienamente sposato il progetto. Nella serata clou della rassegna estiva, l’Aps Accademia “Chi è di scena?!”ha omaggiato i fondatori di “Cultura & Armonia”, col premio onorifico di soci benemeriti onorari dell’associazione.
Incentrate sulla formazione e sui giovani, sono state le altre due serate estive del “Festival”, in piena sintonia anche con la vision di “Cultura e Armonia” Aps. Nella serata del 27 luglio, onde preparare l’ascoltatore ad un migliore e più consapevole ascolto della “Madame Butterfly – la vera sposa americana” messa in scena il giorno seguente, si è tenuta una conferenza patrocinata anche dall’Ordine dei Giornalisti della Puglia valevole come corso per i crediti della formazione continua giornalistica, dal titolo “Madame Butterfly e il dramma d’amore nel teatro pucciniano”,che ha visto l’intervento della nota giornalista e critica musicale barese Fiorella Sassanelli, in dialogo con i colleghi Sebastiano Coletta e Serena Greco.
Nella serata conclusiva del 4 di agosto, nel largo dinanzi Palazzo Gonnelli è stata la volta dell’assegnazione del prestigioso “Premio Belcanto” da sempre assegnato alle eccellenze liriche del territorio pugliese che contribuiscono a diffondere il nome della Puglia nel mondo, quest’anno consegnato al soprano barese Amelia Felle: soprano dal vastissimo repertorio di gran respiro, molto versatile, che ha riscosso un grande consenso di pubblico e critica. Il suo esordio avvenuto nel 1981 cantando Vivaldi e Pergolesi con l’Orchestra Sinfonica della Provincia, vincendo anche il Concorso Liederistico Internazionale di Finale Ligure ed il “Voci Nuove per la Lirica A. Belli” di Spoleto. Nell’operistica, debutta interpretando la splendida Adina ne “L’elisir d’amore” e Norina nel “Don Pasquale” di Donizetti e in “Le nozze di Figaro” di Mozart, con la regia di Gigi Proietti. Superba l’interpretazione di Amelia Felle nel ruolo di Mimì nella “Boheme” di Puccini, diretta nel 1995 dal regista Vincenzo Grisostomi Travaglini, lo stesso regista della “Madama Butterfly – la vera sposa americana” che ha trionfato a Turi lo scorso 28 luglio, per la drammaturgia di Sisowath Ravivaddhana Monipong. Il soprano da diverso tempo allacarriera solistica e teatrale che l’ha portata nei più grandi teatri europei, ha parallelamente affiancato l’esperienza didattica, insegnando con la cattedra di specializzazione in Musica vocale da camera presso il Conservatorio Santa Cecilia di Roma e tenendo corsi e master-class per le Università di Barcellona, Weimar, Lipsia, Dublino, Karlsruhe, Palma de Mallorca, Istanbul, Malta.
A bontà del suo insegnamento va ricordato che ad oggi più di cinquanta dei suoi allievi sono risultati essere vincitori di prestigiosi premi internazionali. Insegnamento svolto anche il quel di Turi, dall’ 1 al 3 agosto con una master-class di canto lirico.
Nella stessa serata del 4 agosto nella splendida piazzetta del centro storico di Turi dalla sublime acustica i giovani partecipanti alla lectio magistralis hanno allietato tutti gli intervenuti, accompagnati al pianoforte dalla docente Barbara Rinero. Il tenore Mu Di ha eseguito “Che dici, o parola di saggio…” tratta da “Canzoni d’amaranta” di F.P. Tosti, “Dal labbro il canto..” dal Falstaff di G. Verdi, e “Un’ aura amorosa” dal “Così fan tutte” di W.A. Mozart, mentre la giovanissima e molto espressiva mezzo soprano Ting Ting, si è cimentata con “O, del mio amato ben” di S. Donaudy, e nella sublime e molto tecnica aria “Inno alla Luna” dalla Rusalka di A. Dvorák. Lo scaltrito soprano Vanessa Guerrera ha interpretato “Je dis que rien ne m’épouvante” dalla “Carmen” di G. Bizet, “Ebben! Ne andrò lontana..” dalla “Wally” di A.Catalani e “Les chemins de l’amour” di F. Polulenc. Particolare menzione merita il giovane Nicolò Tanzella, giovanissimo contraltista dalle notevoli capacità espressive, alle prese con arie di una certa difficoltà vocale, dovuta proprio al particolare tipo di voce usata in epoca barocca, capacità mostrate nell’esecuzione delle arie “Verdi prati” da l’Alcina, “Voi che udite il mio lamento..” da Agrippina, e “Agitato da fiere tempeste..” dal Riccardo I sempre G.F. Händel.
A sostegno della manifestazione canora, anche l’arte figurativa ha trovato il proprio e degno spazio. Infatti dal 2 al 4 di agosto presso Palazzo Cozzolongo, ha sostato la mostra itinerante dell’artista lucano Corrado Veneziano, pittore e regista formatosi al Piccolo Teatro di Milano, con alle spalle esperienze alla regia per la Biennale di Venezia e per la Rai. La mostra dal titolo “Visse d’arte”, è stata l’unica mostra riconosciuta dal Comitato nazionale per le celebrazioni “Puccini100” sostenuta ed auspicata dalla Presidenza della “Commissione Cultura” della Camera dei Deputati. Il ciclo pittorico col quale l’artista ha voluto esaltare la forte tensione figurativa del celebre compositore, in un dialogo fra le note del pentagramma ed i personaggi dei suoi capolavori assoluti, diventati simboli evocativi su cui si fonda una parte preziosa dell’immaginario contemporaneo. Le tele hanno richiamato l’intero repertorio operistico pucciniano, con “le Villi, Manon Lescaut, Tosca, Madama Butterfly, Turandot, Suor Angelica, il Tabarro e Gianni Schicci”, con queste ultime rappresentate da due opere, in cui all’elemento prettamente figurato e simbolico di ciascuna, l’artista ha associato linee orizzontali e parallele tra loro a richiamare spartiti e righe musicali. Tali partiture aeree e pittoriche appaiono separate tra loro da diversi intervalli visivi con il richiamo a corde, fili, rami, scale, onde del mare quali elementi leggeri ed eterei, portatori della primaria suggestione compositiva del Maestro.
Si è chiusa, dunque, questa ricca stagione del Festival del Belcanto, dando un arrivederci al prossimo anno, anche se rimane comunque difficile non pensare ad eventuali altre sorprese nei mesi che mancano alla fine dell’anno solare.
Didascalie Foto: 1) Il vicesindaco di Turi Teresa De Carolis consegna ad Amelia Felle il Premio Belcanto 2024; 2) Foto di gruppo in piazza Gonnelli (da Sx): Nicolò Tanzella, Vanessa Guerrera, Teresa De Carolis,Amelia Felle, Emanuele Ventura, Giovanna Giannandrea, Ferdinando Redavid e Barbara Rinero; 3) Inaugurazione mostra “Visse d’arte” a Palazzo Cozzolongo con il maestro Corrado Veneziano che racconta le opere esposte.
Giunto quest’anno alla sua XIV° edizione, il Festival del Belcanto di Turi ha visto il suo acme nella serata dello scorso 28 luglio. La kermesse portata ogni anno a superarsi grazie all’abnegazione dell’Aps “Chi è di Scena?!” ed alla lungimiranza artistica del suo direttore artistico, il M° Ferdinando Redavid, sin dal 2011 ha consentito alla comunità turese di divenire centro della lirica conosciuto a livello internazionale con affermati interpreti a calcarne il palcoscenico insieme alle tante giovani promesse lanciate e poi affermatesi nel mondo della lirica.
In quest’edizione si è deciso di omaggiare il grande compositore lucchese Giacomo Puccini, nel centenario della sua morte, mettendo in scena, grazie al patrocinio della Regione Puglia, del Comune di Turi ed il sostegno dell’Aps “Cultura & Armonia” di Turi, l’opera più iconica del Maestro, ovvero quella “Madama Butterfly” tratta dal racconto dell’americano John Luther Long, ridotta in libretto dai celebri Giuseppe Giacosa e Luigi Illica. Un’opera avvolta sin dal principio da un’aurea di immortalità, legata indissolubilmente alla sua prima “di fuoco” andata in scena al Teatro alla Scala di Milano il 17 febbraio 1904, quando l’opera a detta dello stesso compositore venne “linciata” dal pubblico presente in sala e sostenitore dell’editore Edoardo Sonzogno, avversario del suo editore Giulio Ricordi. Ritenuta non a caso dal Maestro la sua opera più sentita e suggestiva, e sicuro di una sua rinascita, apportando un ridimensionamento della partitura ed il passaggio dai due ai tre atti, l’esotica opera rinacque come l’araba fenice dalle ceneri della sua prima, il 28 maggio dello stesso anno al Teatro grande di Brescia. Ma sarà col trionfo del 1906, presso le Théâtre National de l’Opéra-Comique di Parigi, che l’opera con il varo della sua quarta versione, resa appetibile ai francesi, entrerà definitivamente nell’immaginario collettivo.
La messa in scena al ‘Sandro Pertini’
Presso l’atrio dell’istituto I.T.E.T.s “S. Pertini” di Turi, la serata è stata aperta con la conduzione affidata alla disinvolta conduttrice Alina Liccione ed ha visto andare in scena “Madama Butterfly” – la vera sposa americana, rivisitazione dell’opera del maestro, affidata alla regia internazionale di Vincenzo Grisostomi Travaglini ed al drammaturgo Ravivaddhana Monipong Sisowath, con le scenografie realizzate da Silvia Giancane e Damiano Pastoressa noto scenografo, già a Turi nel 2021 con il sontuoso allestimento della “Cavalleria Rusticana”, il disegno e le luci di Francesco Bàrbera, gli splendidi costumi realizzati da Fabrizio Onali e Otello Camponeschi. Le note della “tragedia pucciniana” sono state tradotte in musica dalla rinomata e ricercata “Orchestra Sinfonica del Levante”, stupendamente diretta dal Direttore e M° Concertatore Ferdinando Redavid. Travaglini affida la narrazione della storia alla voce narrante della celebre attrice Giuliana De Sio, nel ruolo della vera moglie americana Kate Pinkerton, personaggio fondamentale nell’economia della tragedia rappresentata. Mantenendo le caratteristiche dell’opera originale, la scelta della voce narrante ha consentito allo spettatore di godere di diversi spunti di riflessione sul latente scontro culturale tra i millenari valori orientali, e quelli occidentali già al tempo svuotati dal dilagante cannibalismo capitalistico, scontro culturale che invade da qui sia la figura della donna nelle due società, che la figura della donna d’allora ed oggi.
Il primo atto
La tragedia ambientata nel‘800 nella città portuale giapponese di Nagasaki, vede “Cio Cio-San” una quindicenne fanciulla, conoscere ed innamorarsi di uno spavaldo giovane tenente della marina statunitense, “B.F. Pinkerton”. Di famiglia un tempo ricca poi caduta in disgrazia a causa del “seppuku”(suicidio rituale) del padre, la ragazza si era vista costretta per vivere, sin da subito a fare la geisha (si badi bene, non prostituta, ma artista e intrattenitrice), e così aveva avuto modo di conoscere un sensale senza scrupoli di nome “Goro” interpretato dal giovane “Prisco Blasi” tenore di prospettiva, che la fa conoscere all’ufficiale, il quale per puro spirito d’avventura e incarnando il carattere predatorio capitalistico dell’Occidente irride il costume ed i valori morali nipponici e quindi anche il contratto matrimoniale, che gli consente in qualsiasi momento di lasciare il tetto coniugale. Il console degli Stati Uniti a Nagasaki, “Sharpless”, uomo più maturo ed il più dotato di buon senso in tutta la narrazione, intuisce i seri valori della ragazza e mette in guardia il giovane amico, specie quando apprende la storia della ragazza ed il fatto che a suo dire “sia nell’età dei giochi”. Il matrimonio si celebra comunque e la ragazza abbraccia la fede religiosa ed i costumi occidentali, venendo ripudiata dallo zio bonzo, interpretato da Francesco Susca, e dal resto della sua famiglia. Abbandonata per sempre la sua famiglia, Cio Cio-san si lega ardentemente al marito appena sposato col quale si prepara a consumare. Molto apprezzato il duetto tra il pimpante Pinkerton interpretato dal tenore “Joan Laìnez” e Cio Cio-San interpretata dal soprano “Valentina De Pasquale” con “Viene la sera … Bimba dagli occhi pieni di malìa”, col quale si chiude il primo atto.
Il secondo atto
Il secondo atto, vede un avanzamento di ben tre anni dal momento dello sposalizio, l’ufficiale partito subito dopo il matrimonio alla volta degli USA, promette di ritornare a primavera, ma dopo tre anni d’attesa con le finanze in rosso, l’inserviente “Suzuki” interpretata dal soprano turese “Angela Alessandra Notarnicola”, stanca dello struggersi in lacrime della propria padrona, prega Buddha che Cio Cio-San divenuta col matrimonio Madama Butterfly“non pianga più, mai più, mai più”. Volendo destare la sua padrona dall’ormai effimero sogno, le ricorda il pragmatico e conosciutissimo comportamento marinaro: “Mai non s’è udito | di straniero marito | che sia tornato al suo nido”. La padrona invece, risentita e forte di un amore ardente e tenace, pur affliggendosi nella lunga attesa, dalla bella casa sulla collina affacciata sul porto, continua a professar la sua incrollabile fiducia nel ritorno dell’amato nella straziante aria “Un bel dì, vedremo”, la più celebre dell’opera, vero e proprio atto di fede in cui la Madama proietta il suo smanioso desiderio di riabbracciare il suo sposo, magnificamente reso in lirica dalla potente voce del soprano Valentina De Pasquale. Sharpless, ricevuta una missiva di Pinkerton, si dirige alla casa sulla collina, ma mentre inizia a leggerne il contenuto si rende conto della meschinità dell’ufficiale risposatosi in patria, quindi molto preoccupato per le sorti dell’ignara e tormentata Madama le chiede che cosa farebbe “s’ei non dovesse ritornar più mai”. Lei, quasi balbettando per il colpo inaspettato, gli risponde “Due cose potrei fare: tornare «a divertir | la gente col cantar, | oppur, meglio, morire”. Oserei dire che quasi un paterno Sharpless, magistralmente interpretato dal baritono “Carlo Provenzano”, prova a strapparla dai miraggi ingannatori prima che sia troppo tardi, spingendola ad accettare la proposta di matrimonio del ricco “Yamadori”, ma lei rifiuta e gioca la carta del bambino di nome “Dolore” frutto del suo amore per l’ufficiale, dicendogli di scrivere a Pinkerton per comunicargli che lo aspetta un “figlio senza pari”, chiudendo il discorso sul cosa accadrebbe in caso di non ritorno, con l’aria che segna a mio avviso la mutazione finale della Madama Butterfly da ragazzina a donna, “Sai tu cos’ebbe cuore|di pensar quel signore?” sublimemente interpretata dalla voce tormentata e potente del soprano Valentina De Pasquale quasi a lasciar presagire l’onorevole e tragico epilogo.
Il finale
Li Sharpless, come un qualsiasi spettatore, ha la quasi certezza del triste finale che attende la Donna e la certezza di non poter far più nulla per salvarla dal suo destino. Quando un dì, Madama Butterfly avvista da lontano la nave “Abramo Lincoln” su cui è imbarcato il suo amato, si vede ormai già vittoriosamente a lui ricongiunta e lo attende insonne in una lunghissima veglia d’attesa. Veglia che assume però tutt’altro che i toni del lieto fine, infatti Puccini con lo straordinario “Coro a bocca chiusa” dall’astratta raffinatezza timbrica, molto ben eseguito per l’occasione dal “Coro Opera Festival Città di Bitonto” diretto dal M° Giuseppe Maiorano e dal “Coro Vox” diretto dal M° Giuseppe Cacciapaglia, presenta una donna quasi paralizzata, immobile, che non sogna, ma è attentissima e tesissima perché in lei il lento ed imperterrito scavare delle parole pronunciate e lette da Sharpless, la inducono a rielaborare, sgretolando poco per volta la sua incrollabile fede nell’amore. Il phatos raggiunto ed accumulatosi sin qui, da pienamente ragione al Maestro Puccini, contrario al calo di sipario subito dopo il coro a bocca chiusa, perché questo equivaleva a raffreddare la tensione sin lì accumulata, quindi ben ha fatto Grisostomi Travaglini a presentare seppur con qualche scena tagliata ma ben narrata a unire il secondo e terzo atto, di fatto riuscendo ad inchiodare il pubblico ed a travolgerlo nel turbinio degli eventi scenici. Puccini, con uno dei migliori intermezzi della storia dell’opera, racconta il risveglio mattutino della città di Nagasaki che riprende le sue attività giornaliere, ma Butterfly stanca si adagia a riposare. Fuori dalla villa Suzuki, altra figura positiva presente nell’opera, apprendendo che Pinkerton si è risposato con un’americana e dell’intenzione che “del bimbo conviene | assicurar le sorti!”, si appresta a stare il più possibile vicino alla propria padrona, temendo a ragione il nefasto scorrimento degli eventi. Qui l’espressivo mezzosoprano “Angela Alessandra Notarnicola” interpreta meravigliosamente la “pietas” con cui Puccini connota l’animo dell’inserviente posta in una condizione d’indigenza, sul gradino più basso della società nipponica, con “Ma bisogna ch’io le sia sola accanto | Nella grande ora, sola! Piangerà tanto tanto!”. Pikerton, preso da un inusuale senso di rimorso, per il mal procurato a sua moglie, da un addio a quel posto con l’aria “Addio asil fiorito” magistralmente interpretata dal tenore Joan Laìnez, ma si dimostra per quel che è, non in grado di reggere il confronto con la Madama, troppo ampio il divario valoriale tra i due e le rispettive culture di riferimento. La Madama incontra lo sguardo di Kate la vera moglie americana interpretata per le parti recitative da Emanuela Passaquindici e capisce che tutto è perduto decidendo di scomparire, in silenzio, dalla scena del mondo. Suzuki accortasi delle sue tragiche intenzioni cerca in ogni modo di evitarle, così nell’ultima scena mentre Madama Butterfly ha già portato alla gola il “coltello tantō” ricordando le parole del padre suicida “Con onor muore chi non può serbar vita con onore”, l’inserviente in un ultimo disperato tentativo di far rinsavire la sua padrona, col braccio invita il bambino “Dolore” portato in scena dal piccolo Filippo Dell’Aera, ad andare verso la madre affinché alla sua vista fermi la propria mano. Tentativo che ha breve durata, fin quando la madre, bendato e riposto il bambino in una stuoia esegue su di sé l’antico rito suicida del “jigai”. Puccini tocca il problema centrale della cultura del decadentismo, rielaborando il dramma della perdita in una sorta di coazione a ripetere che vede la continua sottrazione di qualcosa alla sfera personale della protagonista, prima il padre, poi i familiari, l’identità razziale, gli agi, il marito, finanche il figlio. Non può che finire con la perdita della vita, questa volta però il cerchio si chiude perdendo la vita per propria mano in modo onorevole.
Pietro Pasciolla
Dodascalie foto di Mariagrazia Proietto: 1) Madama Butterfly, scena del rito suicida finale; 2) Il M° Ferdinando Redavid alla direzione dell’Orchestra Sinfonica del Levante; 3) Giuliana De Sio in Kate Pinkerton narratrice.
Un autentico “sogno lirico” ha pervaso dal 28 di luglio il nostro Borgo antico ed il pubblico intervenuto alla kermesse musicale del “Festival del Belcanto”, giunta quest’anno alla sua XIII° Edizione. Nella serata conclusiva del 3 agosto, nel suggestivo salotto ‘barocco’ di Piazza Capitan Colapietro, incorniciato dal settecentesco Palazzo Marchesale Venusio, è andato in scena un autentico viaggio temporale dal titolo “Il Teatro di Puccini. La sua scena, tormento ed estasi”, diretto e narrato dal regista Giandomenico Vaccari, già soprintendente della Fondazione Petruzzelli e Teatri di Bari, musicato dall’Orchestra Filarmonica Pugliese-OFP diretta dal M° Ferdinando Redavid, con le coreografie realizzate dal coreografo Domenico Iannone e inscenate dalle ballerine Silvia di Pierro, Paola Altamura ed Elisa Carbone della “Compagnia AltraDanza” di Bari.
Un omaggio dunque, al teatro, alla musica e alla vita del compositore italiano Giacomo Puccini, il più famoso e conosciuto del suo tempo insieme a Richard Strauss, a quasi cent’anni dalla sua scomparsa. Quel Puccini che, comprendendo ben subito il cambiamento in atto rispetto ai tempi di Verdi con l’affermarsi dell’industria culturale in grado di diffondere le opere in giro per il mondo, sentiva, come pochi, la necessità di capire il suo pubblico e di comprenderne gusti, tendenze e passioni, rappresentando musicalmente i sentimenti e generando un “sinfonismo operistico” equilibrato, fatto di varietà, rapidità, sintesi e profondità psicologica dei suoi personaggi, comuni, spesso soccombenti e femminili, dando una sostanziale spallata all’Opera magniloquente del’800.
Sotto la volta stellata, rinfrescata da un piacevole zefiro, la narrazione del Vaccari ha seguito un andamento temporalmente sciolto, iniziando con la rappresentazione nella “Boheme”, dell’autentico e puro amore fra il poeta Rodolfo e la dolce ricamatrice di fiori Mimì, ostacolato dalle condizioni di povertà e malattia nella Parigi del 1830. Racconto proseguito nel lontanissimo Giappone, della sofisticata ed esotica “Madama Butterfly”, con la sua inquieta e moderna eroina Cio-cio-san, dotata di una fede incrollabile nell’amore e di un granitico senso dell’onore. Narrazione condotta poi nella Roma papalina, ai tempi della repressione post-repubblicana, con la tragedia universale dell’inafferrabilità dei desideri e delle promesse non mantenute della “Tosca”, opera dirompente e dal fascino estremo, in grado di irretire lo spettatore col suo ritmo musicale travolgente, privo di tempi morti, e con la sua protagonista dotata di una personalità passionale, sensuale, ma anche profondamente credente in Dio.
Punto d’approdo della serata è stato nuovamente l’Oriente con la misteriosa Cina imperiale della sanguinaria principessa Turandot. Opera ultima ed incompiuta del M°, la “Turandot” è intrisa del Mistero dell’Amore, incarnato in maniera diametralmente opposta dalle due eroine. Difatti alla granitica principessa Turandot, personaggio femminile debole e disequilibrato, che ostenta terrore e morte, per proteggersi dall’eros, astraendosi in un mondo dove esiste solo la mente e l’anima, si contrappone la debole e umile Liù, forte e coerente perché essa ha coscienza dell’amore nella sua forma più pura, dandone dimostrazione mediante il sacrificio, che consente all’amato di amare non lei ma un’altra donna.
La serata ha riproposto anche l’opera comica “Gianni Schicchi”, basata su un episodio del XXX° Canto dell’Inferno di Dante. Opera facente parte del “Trittico” insieme a Suor Angelica e a Il Tabarro, ambientata a Firenze, e narrante lo scontro di classe, fra nobili e uomini della “gente nova”. Schicchi uno di quest’ultimi, acuto e perspicace, disprezzato dalla nobiltà si prenderà gioco dei nobili, ingannandoli astutamente.
Ma la composizione Pucciniana, non ha riguardato solamente l’Opera, ma ha anche deliziato il pubblico con autentici capolavori sinfonici. Il “Preludio sinfonico”in La maggiore, riscoperto dalla critica da alcuni decenni è una fantasia sinfonica priva di programma, realizzata in un unico movimento “andante mosso”. Una composizione dagli echi wagneriani e con un chiaroscuro musicale d’innegabile effetto, assai ricco ed elegante nella sua ultima parte. Eseguito splendidamente in apertura della serata dalla OFP.
Impossibile, non ascoltare l’intenso ed elegante intermezzo della prima opera di successo pucciniana, la “Manon Lescaut”, un autentico gioiello del sinfonismo italiano, in cui confluiscono i sentimenti di disperazione dell’eroina. Intermezzo che inizia con la cantilena desolata di una viola, cui fa seguito col rifiorire della speranza, l’ingresso degli altri strumenti delineandone il tema principale, per poi chiudersi nel finale con un motivo celestialmente colorato dalla timbrica dei fiati, inerente il destino dell’eroina.
Durante la serata, si sono alternati sul palco due tenori, come Salvatore Cordella e Joan Lainez, e due soprano, Grazia Berardi e Valentina De Pasquale.
Le arie tratte da “Boheme”, “Che gelida manina”, “Sì, mi chiamano Mimì”, e il successivo duetto “O soave fanciulla” sono stati interpretati dai bravissimi Salvatore Cordella e Valentina De Pasquale.
In “Vogliatemi bene, un ben piccolino” tratto dalla “Madama Butterfly” si sono magistralmente cimentati Grazia Berardi e Joan Lainez, con quest’ultimo che ha poi interpretato l’arioso “Addio asil fiorito”. Sempre da “Madama Butterfly”, Grazia Berardi ha interpretato con gran raffinatezza il celebre “Un bel di vedremo”.
Nei panni di Tosca, Grazia Berardi, ha accoratamente intonato il celebre “Vissi d’arte, vissi d’amore”, dimostrando di sentir sua quest’opera, mentre Salvatore Cordella nei panni di Mario Cavaradossi, ha eseguito con trasporto l’arioso “E Lucevan le stelle”.
Magnifica è stata l’interpretazione di “O mio babbino caro” di Valentina De Pasquale, tratta da Gianni Schicchi, e quella del “Nessun dorma” di Joan Lainez, tratta da Turandot.
Interpretazioni, che ancora una volta sottolineano l’alto livello, raggiunto dalla kermesse musicale turese.
Non ci resta che darvi appuntamento al prossimo anno, Centenario della Morte del Maestro Giacomo Puccini.
Pietro Pasciolla
Didascalie foto di Mariagrazia Proietto:1) piazza Cap. Colapietro con il palco del Festival del Belcanto; 2) Il M° Ferdinando Redavid; 3) Il tenore Joan Lainez e la soprano Grazia Berardi in “Vogliatemi bene, un ben piccolino” da ‘Madama Butterfly’; 4) Silvia di Pierro, Paola Altamura ed Elisa Carbone della Compagnia “AltraDanza” di Bari.
Turi torna ad essere Città della lirica! Siamo infatti nelle notti di mezza estate e, come in un “sogno”, nel borgo antico torna a pulsare il cuore della musica lirica. È ritornato infatti quest’anno, per la XIII° edizione, l’ormai irrinunciabile kermesse musicale del “Festival del Belcanto” ideata e portata avanti dalla caparbietà e dalle capacità del direttore d’orchestra turese Ferdinando Redavid, con la sua Associazione ‘Chi è di scena!?, che negli anni ha elevato la cittadina di Turi a punto di riferimento internazionale della lirica.
Se lo scorso anno, l’obiettivo della rassegna era stato quello di far intendere la lirica non più come un fenomeno di nicchia ad esclusivo appannaggio degli addetti ai lavori e di un pubblico colto e anziano, ma come fenomeno inclusivo e in grado di coinvolgere tutti, anche i giovani e i meno avvezzi, quest’anno, proseguendo il cammino, ci si è concentrati maggiormente sulla formazione dei giovani, attivando una stretta collaborazione con l’Accademia di “Palazzo Pesce” a Mola di Bari, diretta da Margherita Rotondi. La Puglia vede una particolare effervescenza giovanile nell’avvicinamento alla lirica che porta molti ragazzi e ragazze a intraprenderne poi la carriera. L’obiettivo è quello di seguire questi giovani nel loro percorso di formazione, proprio perché sono il futuro del “Canto lirico italiano” candidato ufficialmente dall’Italia, nel 2022, quale Patrimonio immateriale dell’Umanità Unesco.
La rassegna, quest’anno si compone di tre serate: quelle del 28 e 30 luglio e quella conclusiva del 3 agosto. La serata introduttiva del 28 luglio, ha visto l’esibizione proprio di due giovani promesse pugliesi del panorama operistico: il soprano Martina Tragni e il baritono Gianpiero delle Grazie, scelti tra tanti aspiranti cantanti durante una “master class” tenutasi presso “Palazzo Pesce” e che li ha visti alla fine meritevoli della borsa di studio messa a disposizione proprio dal Festival turese e loro consegnata nella medesima serata. Accompagnati al pianoforte dalle sapienti mani di Lucrezia Messa, esperta “vocal coach” e docente presso il Conservatorio “N. Piccinni” di Bari, i due giovanissimi si sono molto ben calati nei diversi personaggi interpretati, mostrando già un buon controllo del palco. La giovanissima soprano si è cimentata nell’interpretazione delle arie “Caro nome” dal “Rigoletto” di Giuseppe Verdi, e “Regnava nel silenzio” dalla “Lucia di Lammermoor” di Gaetano Donizetti, dimostrando un buonissimo controllo dei sovracuti. Il giovane baritono, invece, si è cimentato con una buonissima accuratezza del fraseggio nelle arie “Come Paride vezzoso” da “L’elisir d’amore” di Donizetti, e “A un dottor della mia sorte” tratta da “Il Barbiere di Siviglia” di Gioacchino Rossini. I due poi hanno duettato in “E il dottor non si vede, Pronta io son!” tratta dal “Don Pasquale” sempre di Donizetti.
La serata ha visto la partecipazione della guest star di fama internazionale Paoletta Marrocu, soprano nominata nel 1998 a Parigi dall’Unesco “Artist for Peace”, e che in carriera ha calcato le scene dei teatri tra i più importanti al mondo fra cui: Auckland, Barcellona, Milano, Palermo, Seoul, Shanghai, Tokyo, Venezia, Verona, con ben cinquanta titoli operistici a comporre il suo repertorio. L’artista ha dato saggio ai presenti dell’unicità del suo timbro vocale, plasmando con accenti ed espressioni i personaggi interpretati. Ha aperto la serata canora con “Che fai tu Luna in ciel” del compositore pugliese Umberto Giordano, proseguendo con “Voi lo sapete o mamma” dalla “Cavalleria Rusticana” di Pietro Mascagni e “Stride la vampa” da “Il Trovatore” di Giuseppe Verdi, chiudendo la serata, con una straordinaria “Habanera” da “Carmen” di Georges Bizet.
Al centro della serata, come ogni anno, vi è stata l’assegnazione del prestigioso “Premio Belcanto”, da sempre affidato alle eccellenze liriche del territorio pugliese che contribuiscono a diffondere il nome della Puglia nel mondo, quest’anno consegnato al grandissimo tenore Salvatore Cordella originario di Copertino (LE), conosciutissimo oltreoceano, che si esibirà nella serata conclusiva del 3 agosto.
La seconda serata della kermesse, quella del 30 luglio, intitolata “Canzoni di lungo viaggio” è andata in scena sempre nel nostro borgo antico nell’accogliente spiazzo dinanzi “Palazzo Gonnelli” ed ha visto la presentazione al pubblico di un “recital” su cofanetto musicale prodotto dalla “Dodicilune Edizioni Discografiche e Musicali”, eseguito dal vivo dai due artisti ideatori dello stesso, ovvero: il pianista Vincenzo Cicchelli, concertista dall’ampio repertorio che include la liederistica tedesca, la musica da camera spagnola, inglese, russa e italiana, fino alla musica sacra; e dalla mezzosoprano Margherita Rotondi dotata di un vasto repertorio, che le è valso molte importanti recensioni positive dalla critica.
Questo lungo viaggio, ci ha portato dapprima nella terra degli chansonniers francesi, Piaf, Trenet, Montand, Weill,proseguendo nella lontana America latina, ove le malinconiche note di Consuelo Velàzquez, Carlo Gardel e della milonga di Astor Piazzolla, hanno rapito il pubblico presente, che poi si è ritrovato nell’ultima tappa del viaggio, cioè gli Stati Uniti d’America, ove con le note magistralmente interpretate di “Summertime” di George Gershwin e di “Tonight” di Leonard Bernstein, Margherita Rotondi ha letteralmente condotto il pubblico in un “autentico sogno”, dal quale non vogliamo destarci prima della serata conclusiva del 3° agosto, con “Il Teatro di Puccini. La sua scena, tormento ed estasi”.
Pietro Pasciolla
Didascalie foto
Serata del 28 Luglio (da sinistra): il soprano Martina Tragni, il baritono Giampiero delle Grazie, Lucrezia Messa pianista, il direttore del festival Ferdinando Redavid e l’ospite d’onore, il soprano Paoletta Marrocu.
Serata del 30 Luglio: il pianista Vincenzo Cicchelli e il mezzosoprano Margherita Rotondi nell’esecuzione di un brano tratto dal loro “Canzoni di lungo viaggio”.
“Tra le personalità artistiche cui la Puglia ha dato i natali – scrive nel 1994 Giovanni Boraccesi – vi è quella del pittore Samuele Tatulli (1754 – doc. 1826) le cui vicende, sebbene ancora oscure vanno comunque sempre più delineandosi per i continui contributi offerti dalla critica…”. Fu proprio Boraccesi in due studi pubblicati sul periodico di identità editoriale ‘Fogli di periferia’ ad indicare, grazie anche ad un preciso riferimento archivistico riguardante il Notamento del Sindaco Lomastro del 1811, l’inedita attribuzione di due tele della chiesa di Santa Chiara al nostro pittore, peraltro originario di Palo del Colle (e non di Conversano come annotano alcune fonti e, a volte, anche lo stesso Tatulli) e i cui dipinti sono stati finora rinvenuti in Puglia e Basilicata (Ferrandina, Rutigliano, Oria, Palo, Conversano, Noci, Noicattaro, San Vito dei Normanni, Mottola, Turi, Bari) coprendo un arco di tempo che va dal 1781 (Ferrandina, Madonna del Rosario) al 1826 (Bari, San Marco).
A Turi Samuele Tatulli non realizza solo i due quadri per la chiesa delle Clarisse, raffiguranti rispettivamente la Natività con Sam Marco e la Crocifissione, ma anche altre tre opere registrate nel sopramenzionato Notamento del 1811, a quel tempo compilato dal sindaco di Turi Lomastro e a noi purtroppo non pervenute. Infatti, nella cappella intra moenia di S. Giuseppe, poi scomparsa, erano custoditi «un quadro di S. Oronzo coi divoti fratelli a’ piedi. Opera recente del suddetto Tatulli». In quella extra moenia di S. Oronzo, «il quadro di S. Oronzo, S. Giusto e Fortunato» nonché quello «di S. Elena con la Croce. Questi due ultimi sono pitture del predetto Tatulli.»”.
Tornando alla chiesa delle Clarisse di Turi c’è da dire che i due dipinti, posti in posizione speculare ai lati dell’unica navata rappresentano, non casualmente, l’inizio e la fine del percorso terreno del Cristo: tenera e festosa la visione della nascita di Gesù Bambino tra pastorelli e angeli e un singolare San Marco evangelista. Di contro, drammatica e dolente la raffigurazione del Golgota, con il Nazareno agonizzante in uno scenario di desolato dolore.
La Crocifissione, che Boraccesi attribuisce “per affinità stilistiche e tipologiche” al Tatulli della dirimpettaia Natività, anch’essa non firmata ma ascritta da Lomastro al pennello del prolifico pittore di Palo, vede al centro della scena del Calvario l’imponente figura di Gesù Crocifisso, appeso al legno, che taglia in due la tela, contorto dagli spasimi dell’agonia. Il Cristo con il peso del suo corpo giunto all’ultimo debole respiro ha inclinato la croce sporgendosi verso la Madre Dolorosa che occupa tutto lo spazio a sinistra. Vi è quasi un dialogo muto tra Madre e Figlio: gli sguardi sembrano cercarsi, la Vergine addolorata si abbandona toccandosi con una mano il petto lacerato. A destra della croce, nell’altro spazio, Maria Maddalena è in ginocchio in primo piano, la disperazione la fa aggrappare ai lunghi capelli chiari che la sua mano intreccia, il naso e gli occhi, arrossati dal lungo pianto disperato, colorano un volto impallidito; dietro di lei, in piedi sotto l’ombra proiettata dal Crocifisso, Giovanni il prediletto si dispera stringendo forte le sue mani. Sullo sfondo, un gruppetto di angioletti rompe la monotonia di un cielo carico di tempesta, su un accenno sfocato di paesaggio roccioso.
Tatulli sceglie qui, come nella Natività, il forte contrasto dei colori delle vesti: tra il blu del manto di Maria, il giallo e il bianco della Maddalena e il rosso-verde di Giovanni. Un gioco di cromie accese che crea quasi un movimento circolare intorno alla croce, un vortice emotivo ben sottolineato dal movimento delle mani e dei volti, dalle pieghe dei panneggi. Ma è il corpo abbandonato del Cristo, con la carne che quasi si lacera, il volto coronato di spine e sanguinante e quel ricco panneggio bianco al centro della tela, il punto più alto della drammatica rappresentazione.
Il quadro, come altre opere superstiti della chiesa delle Clarisse di Turi, porta i segni del tragico crollo del marzo 1949, quando l’intera volta dell’edificio collassò apportando ferite indelebili alle opere d’arte lì conservate, tra le quali la Crocifissione dove appaiono evidenti i distacchi di colore sulla veste della Madonna. Ferite che, il restauro promosso dall’allora Soprintendente Schettini, strenuo difensore della ricostruzione tout court che altri osteggiavano con deboli argomenti, ha potuto solo in parte mitigare, restituendo integrità a questa bella tela del Tatulli.
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Nella “Natività” la Sacra Famiglia è in luce ma in secondo piano; in avanti, invece, è la sagoma possente dell’evangelista Marco avvolta in una lunga tunica verdastra, riconoscibile dal leone ai suoi piedi, attributo iconografico specifico di questo Santo, spettatore in penombra pronto ad annotare con la piuma bianca che ha tra le dita della mano destra la “buona notizia” – la parola “Vangelo” in greco vuol significare proprio questo – del prodigio di un Dio fatto uomo, destinato a cambiare il corso della storia. Ma qui c’è un serio problema di interpretazione: il Vangelo di Marco è l’unico a non parlare per niente della nascita di Gesù tra quelli canonici del Nuovo Testamento, mentre lo fanno più specificatamente Luca e Matteo. E allora perché il pittore sceglie di rappresentare l’evangelista Marco? Che ci azzecca? Sicuramente Tatulli sa che il Vangelo secondo Marco, ignorandone completamente l’infanzia, avvia il racconto della vita del Messia dal battesimo ricevuto dal Battista sulle rive del Giordano. E’ probabile, quindi, che la scelta di rappresentare Marco sia una forzatura teologica legata alle richieste della committenza, forse particolarmente legata alla devozione verso questo Santo.
Il Tatulli pone il Bambino al centro della raffigurazione, con la Vergine che lo sorregge amorevolmente mentre lo indica con lo sguardo ad un pastorello adorante; Giuseppe, invece, conversa con altri due personaggi venuti a rendere omaggio al Figlio di Dio. Il gioco dei volti, l’intreccio degli sguardi, lo svolazzare degli angeli in alto, il pallio rosso fiammante del barbuto Evangelista, e la scelta di porre la Santa Famiglia su un piano elevato, danno a questa composizione – che in generale si inquadra in un consolidato cliché iconografico e devozionale – un certo dinamismo circolare, quasi fosse un vortice che trova la sua energia vitale nel Bambinello sceso in terra per redimere i peccati dell’umanità.