L’antica processione dell’Ascensione a Turi cessata nel 1974. Era un rito penitenziale a protezione dei raccolti

Per le vie dei centri storici, capita spesso di imbattersi in particolari che pongono all’osservatore più di un interrogativo a cui si può dare una risposta solo effettuando ricerche di vario tipo. È stato questo il caso delle cinque crocette che fino alla fine del 2021 erano affisse su Palazzo Orlandi che si affaccia sulla ‘piazza’ (angolo via Sedile), il cui significato l’ho scoperto mediante il ritrovamento di un documento ciclostilato, che in quest’articolo ripropongo per dare testimonianza, ancora una volta, dell’immane lavoro di ricerca e divulgazione attuato da Don Vito Ingellis. Questo a maggior ragione dopo il restauro della facciata del palazzo e la contestuale rimozione di tali crocette, prima che vada del tutto persa traccia di un antichissimo rito devozionale della cristianità, cioè quello della “Processione dell’Ascensione”, rientrante in una serie di cortei penitenziali celebrati in specifici momenti dell’anno: le “Rogazioni”.

Tali pratiche si devono a San Mamerto, vescovo di Vienne, in Gallia, allorquando ricorse alla penitenza e alla rogazione – nel senso di supplica e accorata invocazione a Dio – affinché si placassero le calamità naturali e si salvassero i raccolti e il bestiame. San Gregorio Magno papa tra il 590 e il 604 d.C. definì che il rito della “litania major” si dovesse recitare il 25 aprile, giorno di San Marco, in sostituzione dei Robigalia pagani vietati, e che le “litaniae minores” dovessero essere acclamate in processione nei tre giorni antecedenti la Festa dell’Ascensione, che cade quaranta giorni dopo Pasqua, in sostituzione degli Ambarvali romani, anch’essi vietati. Don Vito Ingellis narra di come i nostri antenati, fortemente presi da ogni ambito della vita contadina, avessero fissato alcune date significative considerate a forte rischio per l’accadimento di gelate e forti precipitazioni che, cadendo in fasi cruciali della primavera, potevano mandare per aria un’intera annata di derrate alimentari. Tra le più note vi erano le fatidiche giornate di “la Fère de Gravìne” dal 18 al 25 Aprile, e le tre date fatidiche di Lène (Lèe), Màrche e Cròsce so’ trè dìje pericolose: Santa Maddalena 10 aprile (o San Leone?, 19 aprile); San Marco, 25 aprile; Santa Croce, 3 maggio, come tre giorni pericolosi. Don Vito riporta che l’antico rito, ormai in crisi di partecipazione già dai primi anni ‘60, era stato spostato dalla tarda mattinata al pomeriggio. Non è però da escludere che in tempi più remoti esso venisse officiato sin dalle prime ore del mattino e si svolgesse in tutti e tre i giorni precedenti la festività dell’Ascensione, con il percorso ripartito fra le tre giornate in modo da non lasciare priva di benedizione nessuna delle numerose contrade turesi cosparse di masserie fortificate dotate di chiesette erette proprio con l’intento di sottoporre a benevola protezione celeste, le masserie, i loro proprietari, i loro possedimenti terrieri, oltre a tutti coloro che operavano in esse.

Dopo la Messa cantata con i ministri, al suono festivo delle campane, iniziava la processione che vedeva avvicendarsi le tre Confraternite – nell’ordine, del Purgatorio, di Sant’Oronzo e dell’Addolorata – seguite dalla Croce astile d’argento del Capitolo. Al seguito vi era il clero con l’arciprete che, indossando il piviale dotato di cappuccio, procedeva sotto il “pallio” (baldacchino processionale) reggendo un antico reliquiario in legno, guarnito nel lato anteriore da lamina d’argento istoriata e cesellata, contenente un minuscolo frammento del Santo Legno della Croce. A chiudere il corteo vi era il popolo dei fedeli.

Le confraternite, per l’occasione, addobbavano sia i labari sia la Croce del Capitolo con le primizie del periodo, fra cui: fiori, baccelli di fave novelle, piselli, spighe di grano, orzo e avena, rami di mandorli e di ciliegie (allora una cultivar precoce era la San Nicola). Davanti a ciascuna porta il rito prevedeva la benedizione delle nuove cinque piccole croci (quante le piaghe di nostro Signore in Croce) formate da due asticelle in legno fermate con un chiodo da mettere sulla facciata del muro adiacente alla “porta” in segno di protezione e propiziazione, ad opera del sacrestano della Chiesa Madre munito di scala a pioli, martello e chiodi. Il tragitto della processione dell’Ascensione prevedeva il rito di attraversamento delle varie porte urbiche cittadine, a ricordo dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme nel giorno delle Palme; cosi, si imboccava via Sedile dalla piazza (dov’era Porta Vecchia) e proseguendo si raggiungeva Porta Nuova, che veniva attraversata per scendere da Via Giuseppe Massari e raggiungere la chiesa di San Giovanni, dove in antico, all’imbocco di Via Maggiore Orlandi, vi era un altra porta cittadina.

Presso ciascuna porta si leggevano in latino le antifone, i versetti e le preghiere per le invocazioni, di ben dodici santi molto venerati nella nostra Turi. E così presso Porta Vecchia, in apertura si invocava l’intercessione benevola della Croce e della Regina dei Dolori, seguita poi da quella dei Santi Rocco e Domenico. Presso Porta Nuova, i santi invocati erano Santa Chiara e San Pietro. Particolare era l’invocazione alla Croce di Sant’Angelo, presso l’omonima masseria sulla via per Conversano, che è posta su di una collinetta a protezione dell’agro sottostante, e che intorno agli anni 50, prima della costruzione del borgo Frascinali, era ancora possibile vedere da Porta Nuova. Al di là de la “chiandète du Marchese” scrive Don Vito “era possibile far spaziare lo sguardo per moltissimi chilometri per bearsi delle visioni delle ricche masserie e splendide ville disseminate nel verde scuro degli ulivi secolari”.

Sul sagrato della Chiesa di San Giovanni, sulla cui facciata venivano affisse le crocette – le ultime ancora esistenti, da salvaguardare – si invocavano i due patroni cittadini, nell’ordine San Giovanni Battista e Sant’Oronzo, seguiti da Sant’Anna e San Pasquale Baylòn (patrono del vento e delle bufere).

L’ultimo dei dodici santi era San Vincenzo Ferreri, venerato a Turi e “sempre invocato affinché stessero lontano dai nostri campi, vigne, uliveti, frutteti, orti e giardini, le tempeste il fuoco, le alluvioni, le grandinate, la siccità, e le malattie epidemiche, oltre a qualsiasi altra insidia che il nemico infernale volesse arrecare a coloro che coltivano i campi”.

Presso ciascuna delle soste alle porte urbiche, dopo le invocazioni ai santi citati, l’arciprete declamava sempre in latino, volgendosi ai quattro punti cardinali le seguenti invocazioni con i fedeli che rispondevano:

 “Libera nos Domine”

“A fulgure et tempestate!….

A flagello terraemotus!….

A peste, fame et bello!…

Ut fructus terrae dare et conservare digneris… Te rogamus, audi nos!

Ut pacem nobis dones… Te rogamus, audi nos!”

Il rito si concludeva con la benedizione impartita nella direzione dei quattro venti col Santo Legno della croce e l’intonazione del “Te Deum” di ringraziamento.

Degli ultimi anni di celebrazione del rito, Don Vito lamenta la scarsissima partecipazione all’importantissimo rito, per una comunità prettamente agricola – lo è ancora oggi – e ricorda l’ultimo sforzo fatto per richiamare i fedeli, mediante la traduzione dell’intero rito e la sua stampa su fogli ciclostilati. Ma ormai il rito era andato tanto che a malincuore, il 21 maggio 1974, si decise di sopprimere la processione penitenziale, col rammarico di Don Vito, tutto espresso nel titolo dell’articolo scritto “Requiem per l’antichissima processione dell’Ascensione a Turi”.

Pietro Pasciolla

Nota: Il presente articolo di Pietro Pasciolla è stato pubblicato la prima volta su ‘il paese magazine’ n. 303/maggio-giugno 2022.

Fonte: Don Vito Ingellis, ‘Turi Chiesa Madre’ n.12, Agosto 1974.

Didascalie foto: 1) la processione dell’Ascensione lungo via Massari a Turi (Anni ’50 del secolo scorso); 2) le ‘crocette’ dell’Ascensione ancora presenti (le uniche) sulla facciata della Chiesa di San Giovanni a Turi; 3) Il quadretto a olio raffigurante “San Vincenzo Ferrer”, probabile opera di Donato Paolo Conversi, già nel Coro della Chiesa di Santa Chiara. Dopo il restauro del 2012 ad opera di Cinzia Colapietro, è stato trasferito nell’Ufficio parrocchiale della Chiesa Matrice di Turi.

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