Giunto quest’anno alla sua XIV° edizione, il Festival del Belcanto di Turi ha visto il suo acme nella serata dello scorso 28 luglio. La kermesse portata ogni anno a superarsi grazie all’abnegazione dell’Aps “Chi è di Scena?!” ed alla lungimiranza artistica del suo direttore artistico, il M° Ferdinando Redavid, sin dal 2011 ha consentito alla comunità turese di divenire centro della lirica conosciuto a livello internazionale con affermati interpreti a calcarne il palcoscenico insieme alle tante giovani promesse lanciate e poi affermatesi nel mondo della lirica.
In quest’edizione si è deciso di omaggiare il grande compositore lucchese Giacomo Puccini, nel centenario della sua morte, mettendo in scena, grazie al patrocinio della Regione Puglia, del Comune di Turi ed il sostegno dell’Aps “Cultura & Armonia” di Turi, l’opera più iconica del Maestro, ovvero quella “Madama Butterfly” tratta dal racconto dell’americano John Luther Long, ridotta in libretto dai celebri Giuseppe Giacosa e Luigi Illica. Un’opera avvolta sin dal principio da un’aurea di immortalità, legata indissolubilmente alla sua prima “di fuoco” andata in scena al Teatro alla Scala di Milano il 17 febbraio 1904, quando l’opera a detta dello stesso compositore venne “linciata” dal pubblico presente in sala e sostenitore dell’editore Edoardo Sonzogno, avversario del suo editore Giulio Ricordi. Ritenuta non a caso dal Maestro la sua opera più sentita e suggestiva, e sicuro di una sua rinascita, apportando un ridimensionamento della partitura ed il passaggio dai due ai tre atti, l’esotica opera rinacque come l’araba fenice dalle ceneri della sua prima, il 28 maggio dello stesso anno al Teatro grande di Brescia. Ma sarà col trionfo del 1906, presso le Théâtre National de l’Opéra-Comique di Parigi, che l’opera con il varo della sua quarta versione, resa appetibile ai francesi, entrerà definitivamente nell’immaginario collettivo.
La messa in scena al ‘Sandro Pertini’
Presso l’atrio dell’istituto I.T.E.T.s “S. Pertini” di Turi, la serata è stata aperta con la conduzione affidata alla disinvolta conduttrice Alina Liccione ed ha visto andare in scena “Madama Butterfly” – la vera sposa americana, rivisitazione dell’opera del maestro, affidata alla regia internazionale di Vincenzo Grisostomi Travaglini ed al drammaturgo Ravivaddhana Monipong Sisowath, con le scenografie realizzate da Silvia Giancane e Damiano Pastoressa noto scenografo, già a Turi nel 2021 con il sontuoso allestimento della “Cavalleria Rusticana”, il disegno e le luci di Francesco Bàrbera, gli splendidi costumi realizzati da Fabrizio Onali e Otello Camponeschi. Le note della “tragedia pucciniana” sono state tradotte in musica dalla rinomata e ricercata “Orchestra Sinfonica del Levante”, stupendamente diretta dal Direttore e M° Concertatore Ferdinando Redavid. Travaglini affida la narrazione della storia alla voce narrante della celebre attrice Giuliana De Sio, nel ruolo della vera moglie americana Kate Pinkerton, personaggio fondamentale nell’economia della tragedia rappresentata. Mantenendo le caratteristiche dell’opera originale, la scelta della voce narrante ha consentito allo spettatore di godere di diversi spunti di riflessione sul latente scontro culturale tra i millenari valori orientali, e quelli occidentali già al tempo svuotati dal dilagante cannibalismo capitalistico, scontro culturale che invade da qui sia la figura della donna nelle due società, che la figura della donna d’allora ed oggi.
Il primo atto
La tragedia ambientata nel‘800 nella città portuale giapponese di Nagasaki, vede “Cio Cio-San” una quindicenne fanciulla, conoscere ed innamorarsi di uno spavaldo giovane tenente della marina statunitense, “B.F. Pinkerton”. Di famiglia un tempo ricca poi caduta in disgrazia a causa del “seppuku”(suicidio rituale) del padre, la ragazza si era vista costretta per vivere, sin da subito a fare la geisha (si badi bene, non prostituta, ma artista e intrattenitrice), e così aveva avuto modo di conoscere un sensale senza scrupoli di nome “Goro” interpretato dal giovane “Prisco Blasi” tenore di prospettiva, che la fa conoscere all’ufficiale, il quale per puro spirito d’avventura e incarnando il carattere predatorio capitalistico dell’Occidente irride il costume ed i valori morali nipponici e quindi anche il contratto matrimoniale, che gli consente in qualsiasi momento di lasciare il tetto coniugale. Il console degli Stati Uniti a Nagasaki, “Sharpless”, uomo più maturo ed il più dotato di buon senso in tutta la narrazione, intuisce i seri valori della ragazza e mette in guardia il giovane amico, specie quando apprende la storia della ragazza ed il fatto che a suo dire “sia nell’età dei giochi”. Il matrimonio si celebra comunque e la ragazza abbraccia la fede religiosa ed i costumi occidentali, venendo ripudiata dallo zio bonzo, interpretato da Francesco Susca, e dal resto della sua famiglia. Abbandonata per sempre la sua famiglia, Cio Cio-san si lega ardentemente al marito appena sposato col quale si prepara a consumare. Molto apprezzato il duetto tra il pimpante Pinkerton interpretato dal tenore “Joan Laìnez” e Cio Cio-San interpretata dal soprano “Valentina De Pasquale” con “Viene la sera … Bimba dagli occhi pieni di malìa”, col quale si chiude il primo atto.
Il secondo atto
Il secondo atto, vede un avanzamento di ben tre anni dal momento dello sposalizio, l’ufficiale partito subito dopo il matrimonio alla volta degli USA, promette di ritornare a primavera, ma dopo tre anni d’attesa con le finanze in rosso, l’inserviente “Suzuki” interpretata dal soprano turese “Angela Alessandra Notarnicola”, stanca dello struggersi in lacrime della propria padrona, prega Buddha che Cio Cio-San divenuta col matrimonio Madama Butterfly “non pianga più, mai più, mai più”. Volendo destare la sua padrona dall’ormai effimero sogno, le ricorda il pragmatico e conosciutissimo comportamento marinaro: “Mai non s’è udito | di straniero marito | che sia tornato al suo nido”. La padrona invece, risentita e forte di un amore ardente e tenace, pur affliggendosi nella lunga attesa, dalla bella casa sulla collina affacciata sul porto, continua a professar la sua incrollabile fiducia nel ritorno dell’amato nella straziante aria “Un bel dì, vedremo”, la più celebre dell’opera, vero e proprio atto di fede in cui la Madama proietta il suo smanioso desiderio di riabbracciare il suo sposo, magnificamente reso in lirica dalla potente voce del soprano Valentina De Pasquale. Sharpless, ricevuta una missiva di Pinkerton, si dirige alla casa sulla collina, ma mentre inizia a leggerne il contenuto si rende conto della meschinità dell’ufficiale risposatosi in patria, quindi molto preoccupato per le sorti dell’ignara e tormentata Madama le chiede che cosa farebbe “s’ei non dovesse ritornar più mai”. Lei, quasi balbettando per il colpo inaspettato, gli risponde “Due cose potrei fare: tornare «a divertir | la gente col cantar, | oppur, meglio, morire”. Oserei dire che quasi un paterno Sharpless, magistralmente interpretato dal baritono “Carlo Provenzano”, prova a strapparla dai miraggi ingannatori prima che sia troppo tardi, spingendola ad accettare la proposta di matrimonio del ricco “Yamadori”, ma lei rifiuta e gioca la carta del bambino di nome “Dolore” frutto del suo amore per l’ufficiale, dicendogli di scrivere a Pinkerton per comunicargli che lo aspetta un “figlio senza pari”, chiudendo il discorso sul cosa accadrebbe in caso di non ritorno, con l’aria che segna a mio avviso la mutazione finale della Madama Butterfly da ragazzina a donna, “Sai tu cos’ebbe cuore|di pensar quel signore?” sublimemente interpretata dalla voce tormentata e potente del soprano Valentina De Pasquale quasi a lasciar presagire l’onorevole e tragico epilogo.
Il finale
Li Sharpless, come un qualsiasi spettatore, ha la quasi certezza del triste finale che attende la Donna e la certezza di non poter far più nulla per salvarla dal suo destino. Quando un dì, Madama Butterfly avvista da lontano la nave “Abramo Lincoln” su cui è imbarcato il suo amato, si vede ormai già vittoriosamente a lui ricongiunta e lo attende insonne in una lunghissima veglia d’attesa. Veglia che assume però tutt’altro che i toni del lieto fine, infatti Puccini con lo straordinario “Coro a bocca chiusa” dall’astratta raffinatezza timbrica, molto ben eseguito per l’occasione dal “Coro Opera Festival Città di Bitonto” diretto dal M° Giuseppe Maiorano e dal “Coro Vox” diretto dal M° Giuseppe Cacciapaglia, presenta una donna quasi paralizzata, immobile, che non sogna, ma è attentissima e tesissima perché in lei il lento ed imperterrito scavare delle parole pronunciate e lette da Sharpless, la inducono a rielaborare, sgretolando poco per volta la sua incrollabile fede nell’amore. Il phatos raggiunto ed accumulatosi sin qui, da pienamente ragione al Maestro Puccini, contrario al calo di sipario subito dopo il coro a bocca chiusa, perché questo equivaleva a raffreddare la tensione sin lì accumulata, quindi ben ha fatto Grisostomi Travaglini a presentare seppur con qualche scena tagliata ma ben narrata a unire il secondo e terzo atto, di fatto riuscendo ad inchiodare il pubblico ed a travolgerlo nel turbinio degli eventi scenici. Puccini, con uno dei migliori intermezzi della storia dell’opera, racconta il risveglio mattutino della città di Nagasaki che riprende le sue attività giornaliere, ma Butterfly stanca si adagia a riposare. Fuori dalla villa Suzuki, altra figura positiva presente nell’opera, apprendendo che Pinkerton si è risposato con un’americana e dell’intenzione che “del bimbo conviene | assicurar le sorti!”, si appresta a stare il più possibile vicino alla propria padrona, temendo a ragione il nefasto scorrimento degli eventi. Qui l’espressivo mezzosoprano “Angela Alessandra Notarnicola” interpreta meravigliosamente la “pietas” con cui Puccini connota l’animo dell’inserviente posta in una condizione d’indigenza, sul gradino più basso della società nipponica, con “Ma bisogna ch’io le sia sola accanto | Nella grande ora, sola! Piangerà tanto tanto!”. Pikerton, preso da un inusuale senso di rimorso, per il mal procurato a sua moglie, da un addio a quel posto con l’aria “Addio asil fiorito” magistralmente interpretata dal tenore Joan Laìnez, ma si dimostra per quel che è, non in grado di reggere il confronto con la Madama, troppo ampio il divario valoriale tra i due e le rispettive culture di riferimento. La Madama incontra lo sguardo di Kate la vera moglie americana interpretata per le parti recitative da Emanuela Passaquindici e capisce che tutto è perduto decidendo di scomparire, in silenzio, dalla scena del mondo. Suzuki accortasi delle sue tragiche intenzioni cerca in ogni modo di evitarle, così nell’ultima scena mentre Madama Butterfly ha già portato alla gola il “coltello tantō” ricordando le parole del padre suicida “Con onor muore chi non può serbar vita con onore”, l’inserviente in un ultimo disperato tentativo di far rinsavire la sua padrona, col braccio invita il bambino “Dolore” portato in scena dal piccolo Filippo Dell’Aera, ad andare verso la madre affinché alla sua vista fermi la propria mano. Tentativo che ha breve durata, fin quando la madre, bendato e riposto il bambino in una stuoia esegue su di sé l’antico rito suicida del “jigai”. Puccini tocca il problema centrale della cultura del decadentismo, rielaborando il dramma della perdita in una sorta di coazione a ripetere che vede la continua sottrazione di qualcosa alla sfera personale della protagonista, prima il padre, poi i familiari, l’identità razziale, gli agi, il marito, finanche il figlio. Non può che finire con la perdita della vita, questa volta però il cerchio si chiude perdendo la vita per propria mano in modo onorevole.
Pietro Pasciolla
Dodascalie foto di Mariagrazia Proietto: 1) Madama Butterfly, scena del rito suicida finale; 2) Il M° Ferdinando Redavid alla direzione dell’Orchestra Sinfonica del Levante; 3) Giuliana De Sio in Kate Pinkerton narratrice.