Un esempio dei ‘crudi’ Crocifissi del Seicento meridionale è il maestoso Calvario della chiesa francescana di San Giovanni Battista a Turi: un gruppo ligneo policromo sistemato nella seconda cappella sul lato destro della navata comprendente: Crocifisso, Addolorata, San Giovanni Evangelista, Maddalena, Padre Eterno, Spirito Santo e due Angeli reggicalice.
Al centro è l’imponente figura del Cristo in croce ad attirare subito l’attenzione per quelle numerose sottolineature ‘veriste’ su un corpo orrendamente piagato, ferito, cereo, fortemente caricato dal punto di vista emotivo; l’artista scultore volutamente ha insistito sulle piaghe, i lividi, i fiotti abbondanti di sangue da ogni ferita aperta, quasi fossimo di fronte ad una scena horror. Il volto è sofferente, reclinato dal peso di una corona di rovi spinosi più volte girati intorno alla testa. Tutto è realizzato per stimolare la pietas popolare e la contemplazione partecipata, secondo le linee devozionali imposte dalla Controriforma.
Il Calvario turese può, con probabile certezza, essere attribuito al calabrese fra Angelo da Pietrafitta, nativo del cosentino, esponente di spicco di quella folta schiera di frati-intagliatori, i quali, spostandosi da un convento all’altro, hanno saputo riempire le chiese dell’Ordine Francescano del Sud Italia di arredi in legno e soprattutto di Crocifissi dolorosi, realizzati ‘alla spagnola’ sul modello imposto dal caposcuola degli scultori francescani, il siciliano fra Umile Pintorno da Petralia Soprana, il cui seguace più prossimo è stato proprio fra Angelo. Firma e datazione non accompagnano il gruppo scultoreo turese, ma i segni stilistici saltano subito agli occhi in quanto i Crocifissi attribuiti a fra Angelo nella Puglia centro-meridionale (una trentina circa) possono considerarsi delle vere e proprie ‘fotocopie’.
“Nella scultura – scrive p. Benigno Francesco Perrone nella sua storia dei ‘Conventi della Serafica Riforma di San Nicolò in Puglia’ (vol. 3°, pag. 52) − si riscontrano tutti i connotati, che caratterizzano gli esemplari del maestro calabrese: il volto affusolato, la tornitura delle gambe, la discriminazione dei capelli, la conformazione del torace e il particolare disegno del perizoma”. Il Perrone assegna a fra Angelo anche l’Addolorata e San Giovanni, datando il tutto “attorno al 1697”; tuttavia esclude che la Maddalena, figura assente negli altri Calvari, sia opera del Pietrafitta; è probabile, quindi, l’aggiunta di questo personaggio forse dopo il 1742, visto che nell’Apprezzo del Feudo di Turi il ‘tavolario’ Luca Vecchione, descrivendo la cappella del Crocifisso dei Riformati, scrive: “…dipinto nelle mura, e lamia a fresco li misteri della Passione di Nostro Signore con l’altare in legno, e sotto di essa il Santo Sepolcro con vetriata davanti, il gradino di legname simile con nicchia in cui sta’ collocato il Crocifisso al naturale di rilievo, ed alla destra, e sinistra Nostra Signora Addolorata e S. Giovanni anche di rilievo al naturale…”. La Maddalena, come si può notare, non è menzionata, così come gli Angeli e il Padre Eterno. Il Vecchione, però, ci fornisce una preziosa informazione sull’aspetto originario della cappella: le mura erano dipinte a fresco con “…li misteri della Passione di Nostro Signore”.
La leggenda del Crocifisso che non volle lasciare il Convento
• Narra la leggenda che fra Angelo da Pietrafitta scolpì due Crocifissi: uno per il Convento di Rutigliano e l’altro per un paese della sua Calabria. Durante il trasporto verso le terre calabresi di uno dei due Crocifissi avvenne qualcosa di straordinario proprio qui a Turi. Un forte temporale costrinse il convoglio a riparare presso il convento di San Giovanni. Quando smise di piovere si decise di riprendere il viaggio, ma ogni qualvolta si tentava di far uscire dalla chiesa il Crocifisso di fra Angelo veniva giù un forte acquazzone. Dopo vari inutili tentativi fu chiaro che il Crocifisso non ne volesse sapere di lasciare Turi. Si decise così di chiedere al Vescovo il consenso a far rimanere a San Giovanni la grande Croce sofferente. Da allora il Crocifisso dei Francescani è invocato dagli agricoltori turesi durante i periodi di forte siccità, affinché si ripeta il miracolo della pioggia. L’ultima volta è accaduto nel 1990. Dopo un lungo periodo asciutto, il 29 marzo venne deciso di portare in processione − non avveniva da 50 anni − il Crocifisso del frate-scultore. Come è tradizione l’effige del “miracolo” fece il giro del paese, portato a spalla dai sacerdoti.
Giovanni Lerede
Didascalie foto dall’alto: 1) particolare del volto martoriato del Cristo Crocifisso scolpito da fra Angelo da Pietrafitta (foto Giovanni Palmisano); 2) veduta d’insieme del gruppo scultoreo del Calvario nella chiesa San Giovanni Battista di Turi (foto Giovanni Palmisano); 3) processione per le strade di Turi del 1990 per invocare il miracolo della pioggia.