Due statue e un reliquiario della Chiesa delle Clarisse di Turi
A Turi sono molte le opere d’arte da restaurare. Tre di queste sono da salvare urgentemente per strapparle non solo alla distruzione definitiva ma anche all’immeritato oblio nel quale sono cadute da decenni, eliminate dal culto, ignorate e abbandonate al loro destino. Eppure si tratta di statue lignee che risalgono quasi certamente alla seconda metà del XVIII secolo, quando la chiesa delle Clarisse subì una profonda trasformazione. Le statue sono ciò che resta del ricco apparato sacro della Chiesa di Santa Chiara andato in parte disperso dopo la soppressione dell’annesso convento, complesso religioso edificato nel cuore del paese grazie – come scrive Giovanni Boraccesi – alla “generosa beneficenza dei fratelli Vittorio (canonico) ed Elia de Vittore… che, ultimato nel 1631, fu destinato ad educandato femminile”.
Le tre sculture di legno dipinto rappresentano, a figura intera su base sagomata, San Filippo Neri e San Felice da Cantalice, mentre a mezzobusto è il reliquiario di Santa Candida. I due Santi, come si può leggere nel ‘Notamento’ firmato dal Sindaco Lomastro e datato 1811, erano sistemati su rispettivi altari: “Nell’altare di S. Felice a Cantalicio vi è la statua di pietra del detto Santo (le due statue, in realtà, sono di legno, ndr). In quello di S. Filippo Neri vi è la simile statua”. La dedica di specifici altari dimostrerebbe che non solo le signore monache ma tutti i turesi avevano a cuore anche il culto verso questi due Santi, che in vita si conoscevano ed erano amici essendo nati entrambi intorno al 1515 (wikipedia.it); la devozione, mano a mano scomparve o si affievolì notevolmente, presumibilmente dopo quel dicembre 1891 quando – come riferisce Don Pasquale Pirulli – “le soppresse Monache chiariste di Turi abbandonarono volontariamente il fabbricato del loro Monastero…”, probabilmente a causa delle continue pressione da parte delle Autorità comunali che reclamavano a gran voce il possesso sia della chiesa sia del convento.
I due altari catalogati nel 1811 sono scomparsi, distrutti con ogni probabilità dal crollo della volta avvenuto nel marzo 1949 o forse già abbattuti in precedenza; da allora le sopraddette sculture dovettero passare in deposito, prima visibili nel coro superiore, attualmente occluse alla vista di tutti in una camera-deposito adiacente la sacrestia. Il Tavolario Vecchione, nel suo ‘Apprezzo’ del 1746 non cita né gli altari né le statue di questi Santi, segno che a quel tempo gli uni e le altre ancora non c’erano in Santa Chiara (il frate cappuccino San Felice da Cantalice fu canonizzato solo nel 1712). Si può ipotizzare che i due Santi possano essere stati ‘sponsorizzati’ dalle badesse in carica in quegli anni, oppure sostenuti da qualche abbiente del paese, nel contesto dell’edificazione del nuovo monumentale altare – un recente studio di Christian De Letteriis ne assegna la realizzazione a Giuseppe e Gennaro Sanmartino (vedi l’articolo di Pietro Pasciolla pubblicato su ‘il paese’ 294/giugno 2021) – con la grande tela del pittore campano Carlo Amalfi (1770) e della trasformazione di tutta la chiesa conventuale, grazie alle “cospicue rendite che le Clarisse ricavavano dal proprio patrimonio… il più consistente del paese” come riferisce sempre lo studio di Boraccesi.
Le effigie di San Filippo e San Felice appaiono come sculture realizzate da un unico artista di buona esperienza: il Santo cappuccino ha la figura dinamica nella posa delle gambe e nell’abbraccio del Bambin Gesù. San Filippo, sguardo rivolto al Cielo, ha il lungo camice sacerdotale arricchito di pieghe, la casula (o pianeta) e il manipolo appoggiato a un braccio, impreziosite da dorature e decorazioni floreali. Quest’ultima scultura si mostra come la più danneggiata (una delle mani è priva delle dita), ma entrambe sono state attaccate dal tarlo e presentano distacchi di colore. Un restauro, quindi, è urgente se le si vuole salvare per restituirle, come è doveroso, al patrimonio storico-artistico della nostra città.
La malasorte ha colpito anche la terza scultura, sicuramente più antica, appartenuta alle Clarisse: il mezzobusto-reliquiario di Santa Candida martire e vergine. L’immagine, come le altre, è scolpita in legno, ha la veste dorata e tra le mani ha la palma e il libro. Il mezzobusto poggia su una base con un vano finestrato dove è riposto un osso cranico. È molto deteriorata a causa del cattivo stato di conservazione e del tarlo. Vecchione nel suo ‘Apprezzo’, a proposito del “Monastero di donne Monache sotto il titolo di S. Chiara”, scrive: “A man sinistra sonovi tre Cappelle anco dentro muro, la prima sotto il titolo di S. Marco Jus Patronato del Reverendo Capitolo, la seconda di S. Domenico Jus Patronato della Camera Baronale, la terza di S. Candida, tutte e tre con l’Altare di fabbrica, e gradini di legno…”. Vi era un altare dunque dedicato a questa Santadei primi secoli del cristianesimo; Boraccesi data il busto-reliquiario al Seicento, il sindaco Lomastro, però, stranamente non lo cita nel suo inventario d’inizio Ottocento.
Fonti bibliografiche
- Giovanni Boraccesi, “La Chiesa di S. Chiara a Turi”, in ‘fogli di periferia’ anno VI, n. 1/giugno 1994, ed. Vito Radio;
- Don Pasquale Pirulli, “La fondazione e il patrimonio del Monastero di Santa Chiara in Turi”, in ‘sulletracce’, quaderni del Centro Studi di Storia e Cultura di Turi n. 5-6-7/2002-2004, Schena editore.
- Pietro Pasciolla, “I fratelli Sanmartino a Santa Chiara”, in ‘il paese’ 294/giugno 2021