Gentile direttore, in una breve telefonata ricevuta dal Sindaco di Turi Tina Resta e dall’assessore ai LL.PP. Stefano Dell’Aera, sono stato invitato ad esprimere un mio parere sulla procedura che porterà alla trasformazione della nostra Villa comunale in quanto architetto specialista in restauro e paesaggio, docente di restauro urbano e soprattutto da cittadino di Turi. Con spirito civico e con sentimento profondo verso la nostra comunità, mi sono permesso di riportare alcune riflessioni scritte nel testo allegato che, prima di ogni auspicabile trasformazione delle nostre città, aiuti a prendere coscienza di quello che oggi appartiene a noi tutti in quanto cittadini turesi e a quanti hanno scelto o vorranno scegliere di vivere nella nostra comunità.
Tengo a precisare infine, che il testo allegato, che se ritiene vorrà pubblicare in seno al magazine da lei diretto, è già stato trasmesso ai citati interlocutori ma ritengo utile, tuttavia, che queste riflessioni vengano condivise con i suoi gentili lettori. Ringraziando anticipatamente, Arch. Giuseppe Giannini -turese-
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E’ noto che l’architettura e gli spazi sociali in genere e per definizione, recano in sé una forte componente sociale, quindi un senso civico. A questo devono coniugarsi più fattori come la bellezza (la venustas per Vitruvio), la stabilità (la firmitas), la funzionalità (l’utilitas).
Se i due fattori oggettivi come la funzionalità e la stabilità richiamano alla tecnica, ma per questo non meno importante, per la ricaduta sui costi, sui tempi, sulla durabilità e la manutenzione programmata, la bellezza ricade in ambito del tutto soggettivo, dettato dalla sensibilità di ognuno di noi e da una sorta di istanza psico-sociale.
Il significato chiaro e condiviso dell’esistenza della Villa comunale di Turi parte dal concetto di pertinenza. Pertinenza, lo è stata fin da quando era il giardino delle monache era annesso al costruendo Monastero della clarisse poi divenuto sede del Carcere. Questo edificio venne investito dalla ventata di soppressione post Unità d’Italia, delle sedi conventuali, insieme al convento intra moenia di S. Chiara, deventata scuola primaria e del Convento dei Minori Conventuali di S. Giovanni, diventato ospedale. Anche il convento dei Padri Scolopi e sede di una delle migliori scuole primarie del territorio sud-est barese, sede dell’attuale municipio di Turi, venne investito dalla precedente ondata di soppressione dei conventi: quella napoleonica del 1807.
Il nascendo monastero, attuale carcere, venne quindi incamerato dallo neonato Stato Italiano, bisognoso di edifici pubblici rappresentativi e in grado dare sede ai nuovi uffici amministrativi e destinarlo, appunto a carcere mandamentale. Della pertinenza verde, incamerata comunque dal Demanio insieme al costruendo monastero, venne conservata la configurazione rettangolare e destinata in seguito a verde pubblico.
Un primo, vano tentativo di cancellazione dell’attuale giardino comunale, venne operato allorquando venne progettata la strada di collegamento Casamassima – Putignano, quella che poi sarebbe diventata la SS 172 dei trulli che avrebbe tagliato in due l’attuale Villa (per un approfondimento dell’argomento si veda: “Contributi alla storia e all’urbanistica”, Giuseppe Giannini, “Sulletracce”, Quaderni del Centro Studio di Turi, Quaderno 7) ma la concomitante esigenza di salvare la villa e l’intercessione dei Marchesi di Turi che vollero che la nuova arteria passasse davanti la loro proprietà, così come è avvenuto, fecero si che la nuova strada rimase un progetto. La nuova strada venne deviata sulla via Massari e Largo Marchesale, come in effetti è avvenuto.
La villa di Turi, dunque, ha sempre avuto nella memoria dei turesi un’importanza “vitale”. Il cuore pulsante del paese è sempre stato il cuore della società che l’ha sempre vissuta e detenuta (ad onor del vero con miglior cura dagli anni sessanta fino agli anni ottanta del secolo scorso) con orgoglio e da sempre celebrazione della società turese, quale elemento urbanistico facente parte della città e appartenente alla intera collettività, e sedimento nella memoria anche in coloro che, da turesi, hanno dovuto trascorrere gran parte della loro vita lontano dal proprio paese natio.
La condizioni della villa alla vigilia degli interventi degli anni novanta che mi hanno visto progettista era decisamente inaccettabile. Il verde lasciato a se stesso e poco curato aveva il sopravvento sull’architettura e un forte squilibrio fra la parte centrale e quella retrostante, verso il carcere ne faceva un polmone verde ma da riorganizzare e riconsegnare alla comunità turese. Una delle priorità del progetto della nuova Villa Comunale mirava a dare dignità e valore all’intera area urbana verde, tanto che a partire dalla fontana centrale, l’equilibrio venne dato dalla costruzione della nuova montagnola dal lato del carcere e dall’area giochi nella parte verso via XX settembre.
La scelta effettuata permise di utilizzare l’intero spazio della villa, con l’intento di riconsegnarla interamente ai cittadini. Il verde riorganizzato, anche grazie al contributo dell’agronomo Pietro Oronzo Pugliese, le targhe di denominazione botanica, l’impiego di materiale locale come il Mazzaro di Gravina di Puglia, la pietra locale, il recupero anche funzionale delle fontane del 1918 dell’Acquedotto pugliese. Queste furono le premesse per il nuovo progetto.
L’intero progetto, dalla fase di progettazione a quella della conclusione dei lavori, venne condivisa con tutta la cittadinanza sia mediante un recinzione “trasparente”, sia con le visite guidate all’interno dell’area del cantiere. Alcuni imprevisti stop dei lavori, dovuti a pretestuosi contenziosi fra ditta appaltatrice e ditta subappaltatrice, risoltisi poi in tempi rapidi, balzò anche sulle pagine della ‘Gazzetta Del Mezzogiorno’ grazie all’interessamento a riconsegnare la Villa ai cittadini turesi dall’amico Peppino De Tomaso, direttore della ‘Gazzetta Del Mezzogiorno’, il quale chiedeva a gran voce e a ragione la riapertura della villa perché unanimamente ritenuta indispensabile per la società turese.
La Villa comunale di Turi è giuridicamente di proprietà comunale. In quando vissuta dalla società turese, però, appartiene di fatto alla intera comunità locale che vorrebbe rivedere la Villa di Turi curata amorevolmente come accaduto nel felice periodo della sua storia, quello rimpianto del Sig. Di Bari, che molto ricorderanno. Ad egli si deve la configurazione della Villa attuale, con le sue essenza botaniche secolari e al successivo riequilibrio degli anni novanta reinserita nel contesto urbano che la vede oggi bene di tutti e per tutti.
Da qui, il concetto di pertinenza, letto sul piano giuridico, si amplia in senso molto più profondo nel concetto di appartenenza, laddove la fedele e consolidata configurazione attuale andrebbe mantenuta e curata amorevolmente, affinché continui ad appartenere alla collettività; non alla celebrazione del singolo, bensì della collettività di tutta la comunità turese.
Fermamente convinto che i cambiamenti fanno parte del mondo e delle naturali evoluzioni del fare umano e che nessuno può e deve impedirli, l’invito rivolto è di riflettere attentamente su quello che si possiede e sulle ragioni di qualsiasi cambiamento, affinché questi rispettino il significato autentico della esistenza, convinti che qualcosa di perduto è irreversibile. Sarebbe auspicabile che le trasformazioni future vengano chiaramente spigate ai cittadini, verificate che queste siano ben comprese e metabolizzate e solo dopo attendere da loro la risposta su quello che essi desiderano. L’organo politico che dà corso alla procedute tecnico-amministrative, devono tener conto delle esigenze della collettività ai cui, come già detto, il bene appartiene.
Da questa riflessione, dal sentire opinioni della comunità turese e impegnandosi -tutti- alla cura del verde, prima ancora delle novità, deriva la migliore risposta e la scelta più opportuna da compiere in occasione di ogni cambiamento. Allargare il quesito dei cittadini potrebbe contribuire a dare una risposta opportuna ai cambiamenti in programma, convinti che è prioritario curare bene quello che si ha e che le nuove proposte siano volute dai cittadini affinché anche queste diventino loro patrimonio sociale e inclusivo.
La Villa Comunale di Turi, quale luogo di aggregazione nel significato di appartenenza, dovrà continuare a perpetrare il suo ruolo di collettività, pluritematico e di perequazione sociale. Sarebbe auspicabile che una eventuale trasformazione della Villa, rimanga nell’alveo del suo significato sociale ed evitare che deragli verso quello ideologico.
Sarebbe sufficiente, per concludere, riconoscerne il valore storico-urbanistico e sociale, in della Villa comunale, spazio verde che appartiene già alla comunità turese e celebrarla all’insegna della sua configurazione attuale, saperla custodire con cura, avviando un programma di potenziamento e manutenzione programmata, affinché questa possa divenire una risorsa, non un carico sociale. Non si dimentichi, infine, che anche altri spazi verdi del nostro territorio meritano di essere curati e rivitalizzati. Gli spazi verdi, soprattutto in questo periodo ci di limitazione delle interazioni sociali, devono essere luoghi eletti per l’avvio di attività all’aperto, anche per tramite accordi d’uso fra Comune e scuole e associazioni di ogni tipo. Quella dell’uso del verde pare, al momento, la soluzione migliore per raggiungere l’obiettivo primario che è la muta intesa fra cura del verde e aggregazione sociale.
GIUSEPPE GIANNINI
Didascalie foto, dall’alto: 1) la villa comunale oggi; 2) l’arch. Giuseppe Giannini; 3) la villa ‘grande’ negli anni ’70 del secolo scorso; 4) rendering della ‘nuova’ villa (progetto Gramsci “Compagni e Angeli”).