Anche quest’anno, la nostra cittadina è tornata a rivivere le emozioni che per certi versi solo la lirica sa infondere. Da oltre un decennio, ciò avviene grazie alla caparbietà e alla capacità del direttore d’orchestra turese Ferdinando Redavid, che con la sua Associazione ‘Chi è di scena!?’ ha ideato e portato avanti la kermesse del “Festival del Belcanto” elevando la cittadina di Turi, con il suo patrimonio storico ed artistico, a punto di riferimento internazionale della lirica.
La XII° edizione del Festival del Belcanto si è inaugurata nella serata di lunedì 1 Agosto nello slargo dinanzi Palazzo Gonnelli, alla presenza del nostro sindaco Tina Resta. La serata introduttiva strutturata in due momenti così come da prassi, ha visto una prima parte in cui il cultore di storia locale Tino Sorino, ha presentato due suoi saggi sull’indimenticato “Maestro Nino Rota”, uno dal titolo “In Seicento o a spasso con Nino Rota” l’altro dal titolo “Nell’intimità di Nino Rota”, editi entrambi da “NeP” nel 2020 e nel 2022. Dall’incontro moderato dal giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno, Sebastiano Coletta, è emerso un Rota legato convintamente alle sonorità verdiane tanto da orchestrare un “Valzer in fa maggiore” per pianoforte composto da Verdi in onore della contessa Clara Maffei, utilizzandolo come colonna sonora del film “Il Gattopardo” di Luchino Visconti e per l’occasione eseguito al piano dal Coletta insieme ad altri brani.
Nella seconda parte della serata, vi è stata l’assegnazione annuale del prestigioso “Premio Belcanto”, da sempre affidato alle eccellenze liriche del territorio che contribuiscono a diffondere il nome della Puglia nel mondo, quest’anno consegnato al baritono barese di fama internazionale Marcello Rosiello, la cui straordinaria carriera, costruita con grande talento, professionalità e dedizione, lo hanno portato a calcare i più importanti palcoscenici d’Italia e non solo. Assente per l’occasione a causa di un impegno lavorativo in Portogallo, non ha mancato di consegnare un messaggio augurale alla kermesse, così come fatto anche dalla pronipote di Verdi, Gaia Maschi Barezzi Verdi. In chiusura della prima serata, v’è stato l’omaggio musicale al compositore di Busseto celebrato in quest’edizione, da parte dei soprani Valentina De Pasquale e Angela Lomurno, ottimamente accompagnati al pianoforte da Rossella Perrone, cimentatesi in alcune arie da camera poco eseguite del Verdi e due arie tratte dal suo “Simon Boccanegra” e dalla “Traviata”, che hanno emozionato il pubblico per la bellezza e la magistrale interpretazione.
Se la scorsa edizione del 2021, era improntata all’insegna della rinascita della lirica in presenza dopo il doloroso arresto dell’intero settore a causa della pandemia, quest’anno l’obiettivo proclamato della rassegna è stato quello di far intendere la lirica un’arte non più ritenuta ad esclusivo appannaggio degli addetti ai lavori, e di un pubblico colto, ma un arte inclusiva in grado di coinvolgere tutti, anche i meno avvezzi. Compito per il quale si è puntato sulla partecipazione di una figura di rilievo qual è il barese, Giandomenico Vaccari, regista, direttore e sovrintendente di alcuni tra i più celebri teatri e realtà musicali d’Italia, il quale da accorto prosatore, ha portato in scena, un’inedita riduzione del dramma mediante la scomposizione dell’opera stessa, ed il suo racconto semplice ed accattivante intervallato dal suono delle arie e dei brani sinfonici più importanti, rendendola quindi in grado di esprimere nell’immediato il proprio messaggio.
Per la serata del 3 Agosto, l’Opera scelta non poteva non essere che, una delle più intense della produzione verdiana, la quale insieme al “Trovatore” ed alla “Traviata” compone la “Triade verdiana” dal carattere popolare, con cui il genio di Roncole di Busseto (Parma) raggiunse la piena maturità artistica e la fama internazionale. “Rigoletto” l’opera prescelta, è tratta dal dramma “Le roi s’amuse” ossia “Il Re si diverte” di Victor Hugo, rappresentato per la prima volta nel 1832 alla Commèdie-Française, e censurato in Francia per oltre cinquanta anni perché considerato un opera critica contro il regno di Luigi Filippo d’Orleans e della sua corte. La sua trasposizione teatrale avvenuta per mano del librettista Francesco Maria Piave, e la sua orchestrazione da parte di Giuseppe Verdi, ebbe dopo l’intervento della censura austriaca e il cambio di ambientazione e nomi, la prima messa in scena al Teatro “La Fenice” di Venezia nel 1851, procurando immediata fama al “sinfonismo” verdiano, in grado nell’800, di smuovere le masse popolari e borghesi, protagoniste nel processo Risorgimentale Italiano.
La location scelta per la rappresentazione non poteva che essere Piazza Colapietro, sia per l’acustica pressoché perfetta per tali manifestazioni musicali, sia per il suggestivo colpo d’occhio del Palazzo Marchesale turese a far da sfondo all’antica corte nobiliare.
Il Preludio detta quello che sarà il filo conduttore dell’Opera: “La maledizione”. Tema che si ripeterà costantemente nel dramma con la nota DO in ritmo doppio puntato. Tutto si svolge alla corte del Duca di Mantova. Durante una festa a Palazzo Ducale, il Duca parlando con il cortigiano Borsa, gli confida il suo particolare interessamento per una fanciulla incontrata in chiesa, mentre nel contempo corteggia la contessa di Ceprano, esprimendo giudizi arditi e libertini, nella ballata “Questa o quella per me pari sono”. Durante la ballata il buffone di corte, schernisce il di lei marito iracondo, mentre il resto dei cortigiani trama la loro rivalsa verso il giullare, organizzando il rapimento di quella che il Cav. Marullo ritien esserne l’amante.
Improvvisamente irrompe nell’orgiastica festa il Conte di Monterone, vecchio nemico del Duca, che lo accusa pubblicamente di avergli disonorato la figlia oltraggiando il suo onore. Rigoletto, avocando a se il dovere di irriderlo ne provoca la veemente reazione verbale sfociata nel lancio verso entrambi di una “Maledizione”. Immediatamente vien circondato e imprigionato dagli armigeri, il suo destino è segnato: Andrà al patibolo. Ma prima di uscire di scena rincara la dose verso il giullare con, “e tu, serpente, tu che d’un padre ridi al dolore, sii maledetto!”
Parole che si conficcano immediatamente nella coscienza del buffone, ricordatosi d’essere anch’egli un padre. Profondamente colpito, il giullare mentre incede lentamente verso casa viene avvicinato da Sparafucile, che si presenta come un sicario prezzolato di cui potersi fidare. La condizione dei due personaggi li rende assimilabili, e di questo il Rigoletto ne è consapevole quando intona il monologo: “Pari siamo!…io ho la lingua, egli ha il pugnale”. Monologo dal quale ha inizio la profonda meditazione sulla sua infelice vita causata anche dal suo “essere difforme”, e sul suo dissidio interiore, cercando di distogliere la mente dal pensiero ricorrente della maledizione.
Intanto la figlia Gilda attende il padre che l’abbraccia teneramente. Ma di lui e della sua vita a corte non sa praticamente nulla, essendo sempre rinchiusa nelle pareti domestiche, se non per andare a messa la Domenica, con la domestica Giovanna. Il padre, ossessionato dalla paura che la fanciulla possa essere insidiata, chiede alla governante di vegliarla “Veglia, o donna, questo fiore”.
Andato via il vecchio per rientrare a corte, la governante fa furtivamente entrare il Duca, il quale si lancia alla conquista della giovine, con “È il sol dell’anima”, ed altre meravigliose melodie liriche, con le quali Verdi ne connota il personaggio fatuo, magistralmente interpretato dal tenore Francesco Castoro, facendogli esprimere a scopi ingannevoli quel sentimento che in realtà egli non prova mai per nessuna della sue conquiste. Sul più bello, lo spasimante è costretto a desistere dalla sua opera di seduzione data la presenza di qualcuno nei pressi della casa, rumori che lo inducono a scappare. Per Gilda, rimasta sola in casa, il “Maestro” cesella come un merletto l’aria “Gualtier Maldé… Caro nome”, tratteggiandone ancora in questa fase un enfatica tenera vulnerabilità, nell’ingenuo approccio amoroso, delicatamente interpretata con trilli brevi, leggeri, sopratutto chiari, dalla soprano Ripalta Bufo.
Intanto, mossi a vendetta i cortigiani hanno premeditato il rapimento della presunta amante, del giullare e già si aggirano nei paraggi della sua casa. Essi riescono a coinvolgere lo stesso buffone tornato a casa colto da un presentimento, ed al quale fanno credere con un inganno di voler rapire la contessa di Ceprano, facendogli indossare una maschera. Accortosi di essere stato bendato capisce l’inganno, ed il rapimento di Gilda. Ed intonando “Ah, la maledizione”, perde conoscenza.
Rientrato a palazzo, il Duca, che era tornato a cercare la ragazza poco dopo il loro incontro, par effettivamente struggersi per il rapimento della giovane “Ella mi fu rapita”, ma è un attimo, infatti informato dai cortigiani che la giovine è stata nascosta nei suoi appartamenti, intona la cabaletta, “Possente amor mi chiama”, inno al più bruciante dei desideri che immediatamente corre a placare, con tutte le sue conseguenze. Giunge Rigoletto, che fingendo indifferenza, cerca la figlia, deriso dal crocchio di cortigiani. Il baritono Carlo Provenzano, mostra ed espone al pubblico l’intero sfaccettato animo del suo personaggio in grado di passare dal sospetto iniziale mediante la cantilena iniziale “lala, lala”, all’ira pronunciando una delle invettive più importanti della storia della musica “Cortigiani, vil razza dannata”, proseguendo con la commozione “ebben io piango”, per giungere alla prostrazione dinanzi i cortigiani, che vedono così raggiunto finalmente il loro scopo vendicativo.
Lasciato solo nel salone, viene raggiunto da sua figlia. Troppe cose fra i due non son state dette, ed ora necessariamente dev’esservi un confronto. Gilda con “Tutte le feste al tempio” racconta come ha conosciuto il giovane di cui ignorava la vera identità, e di aver perduto l’onore, mentre il padre cerca di consolarla con “Piangi, fanciulla”. In questo esatto momento, la fin’ora sprovveduta ragazza subisce una rapida metamorfosi, conscia di essere diventata “donna” nella stanza da letto del Duca, acquisisce consapevole maturità e si appresta a divenire l’eroina del dramma. Intanto nel mentre il conte di Monterone viene condotto al patibolo, osserva il Duca ritratto in un quadro, e constata amaramente che la sua maledizione è risultata esser vana. Allorché, udite le parole del Conte, l’ingigantito impeto, porta Rigoletto a replicare “No vecchio t’inganni…sì, vendetta tremenda vendetta”. Non si torna indietro, il Duca secondo il gobbo morrà per mano del sicario.
Intanto Rigoletto ha concesso alla figlia un periodo di tempo per dimenticare il Duca. Ma ella lo ama ancora. Deciso a far toccare definitivamente con mano alla figlia chi sia veramente l’uomo, la conduce alla locanda di Sparafucile sulle rive del fiume Mincio, dove si trova il Duca in incognito, adescato dalla sorella del sicario Maddalena. Gilda da uno spiraglio ha così modo di vedere di nascosto l’amato, sempre uguale, smanioso e sol capace di affermare e ribadire fino alla fine il suo credo libertino cantando la celebre romanza: “La donna è mobile”, per poi corteggiare con un “Un dì, se ben rammentomi”, la mezzo soprano Maria Candirri, a proprio agio nei panni drammatici della zingara Maddalena.
Intanto Rigoletto ha concesso alla figlia un periodo di tempo per dimenticare il Duca. Ma ella lo ama ancora. Deciso a far toccare definitivamente con mano alla figlia chi sia veramente l’uomo, la conduce alla locanda di Sparafucile sulle rive del fiume Mincio, dove si trova il Duca in incognito, adescato dalla sorella del sicario Maddalena. Gilda da uno spiraglio ha così modo di vedere di nascosto l’amato, sempre uguale, smanioso e sol capace di affermare e ribadire fino alla fine il suo credo libertino cantando la celebre romanza: “La donna è mobile”, per poi corteggiare con un “Un dì, se ben rammentomi”, la mezzo soprano Maria Candirri, a proprio agio nei panni drammatici della zingara Maddalena. Segue il quartetto più famoso dell’Opera Italiana in “Bella figlia dell’amore”. Rigoletto dà ordine alla figlia travestita da uomo di tornare a casa e partire immediatamente alla volta di Verona, egli invece prende accordi con il sicario, e si allontana dalla locanda.
Mentre si avvicina un tremendo temporale, Gilda, in preda ancora a un’attrazione irrefrenabile, torna presso la locanda e ascolta il drammatico dialogo che vi si svolge. Il padre però non ha tenuto in dovuto conto la diversità dell’animo femminile, e l’amore altruistico di cui una donna è capace, anche se indossa i panni coloriti della prostituta Maddalena, che invaghitasi anch’essa del Duca, supplica il fratello affinché lo risparmi e uccida al suo posto il gobbo non appena giungerà con il denaro. Sparafucile, vantando una sorta di “rigore professionale”, non ne vuole sapere, ma alla fine accetta un compromesso: aspetterà fino a mezzanotte e, se arriverà, ucciderà il primo uomo che entrerà nell’osteria. Gilda capendo che in quella notte non arriverà nessun altro uomo alla locanda, in un atto di estremo amore, mentre fuori infuria la tempesta, entra nella taverna non riconosciuta a causa dell’oscurità e si fa ammazzare a sangue freddo da Sparafucile. È la sublimazione dell’Amore Romantico!
A mezzanotte, come convenuto, Rigoletto ritorna alla locanda e il sicario gli consegna il corpo in un sacco. Il buffone, illudendosi con grande soddisfazione di aver portato a compimento la sua vendetta, si appresta a gettarlo nel fiume quando, in lontananza, sente riecheggiare il canto del Duca. Raggelato, apre il sacco e vi trova sua figlia Gilda, che in un ultimo anelito di vita intona una delle frasi verdiane più disperate “V’ho ingannata, colpevole… fui” toccando il cuore per quella sublimazione d’amore. La povera ed innocente Gilda offre al padre l’unica consolazione per i poveri reietti come lui, cantando “Lassù in cielo vicino alla madre”. Quel cielo di delizie immateriali non può esistere per il povero gobbo che, impotente, e messo dinanzi al suo totale fallimento. Rigoletto, disperato, si rende conto che la maledizione di Monterone ha concluso il suo cammino e grida: “Ah, la maledizione!”
L’avvincente coup de théâtre verdiano scioglie la tensione del pubblico in uno scrosciante ed emotivo applauso, accompagnato da una ovazione per gli artisti esibitisi, ed anche per la giovane l’Orchestra Filarmonica Pugliese, magistralmente diretta dal direttore Ferdinando Redavid. Ancora una volta, il risultato preventivato vien largamente superato ed a pieni voti, la riduzione dell’Opera ha mantenuto vivo il messaggio, risultato tutt’altro che scontato. Accontentare lo scrivente, con un Opera, privata delle scene di contesto, non era minimamente semplice, eppure non se ne è percepita la mancanza.
Aspettando con ansia l’edizione del prossimo anno, mi preme invitare l’Amministrazione Comunale ad andare avanti nel perseguimento dell’obiettivo di riportare la cultura nelle piazze del nostro suggestivo centro storico, perfette sia scenograficamente che acusticamente per tali eventi, e di farlo con una molteplicità di eventi culturali (non ludici) che devono affrancare una buona volta il Cuore del Nostro Paese, affrancamento che dev’essere percepito dai turesi in modo che possano tornare a goderne e riviverne il fascino senza tempo, magari spendendosi essi stessi per un rilancio della Comunità.
Pietro Pasciolla
Didascalie foto, dall’alto: 1) l’Orchestra Filarmonica Pugliese diretta dal maestro Ferdinando Redavid; 2) 1° agosto in piazza Gonnelli, da sinistra: Tino Sorino, Tina Resta, Rossella Perrone, Valentina De Pasquale, Ferdinando Redavid, Sebastiano Coletta, Angela Lomurno; 3) il duetto “È il sol dell’anima” con ‘Gilda’ (soprano Ripalta Bufo) e ‘Duca di Mantova’ (tenore Francesco Castoro); 4) il duetto “Deh, non parlare al misero” con ‘Gilda’ (soprano Ripalta Bufo) e ‘Rigoletto’ (baritono Carlo Provenzano); 5) il duetto “Un dì, se ben rammentomi” con Francesco Castoro (tenore) e Maria Candirri (soprano).