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Gli argenti del monastero di Santa Chiara in Turi illustrati da Giovanni Boraccesi

Nella serata di venerdì 13 ottobre, in una gremitissima chiesa di Santa Chiara in Turi, si è inaugurato il Ciclo di incontri promosso in occasione del 400° Anniversario della Fondazione del Complesso Monastico delle Clarisse dall’Arciconfraternita del Purgatorio, dall’Associazione “Il Viandante” e dal Centro Studi di Storia e Cultura “Matteo Pugliese”, con il patrocinio gratuito del Comune di Turi. Primo incontro che ha visto in apertura i saluti istituzionali affidati a Michele Troiano Commissario Vescovile dell’Arciconfraternita del Purgatorio e allo scrivente (associato a “Il Viandante”e portavoce del presidente Massimiliano Cacciapaglia). Il presidente del Centro Studi di Storia e Cultura Vitangelo Scisci, poi, ha introdotto i lavori e illustrato la storia del Complesso monastico turese dalle origini ad oggi, facendo riferimento allo studio di Don Pasquale Pirulli pubblicato in varie puntate sui quaderni “Sulletracce”.

L’interessantissimo tema della prima serata è stato: “Nella terra dei Moles. Gli argenti del monastero di Santa Chiara”, in merito al quale è stato chiamato a relazionare con grande dovizia di particolari Giovanni Boraccesi uno dei massimi esperti di argenteria sacra, autore di numerose pubblicazioni scientifiche sull’argomento, nonché restauratore, storico dell’arte e responsabile del Museo didattico di Arte e Storia Sacra – MuDiAS di Rutigliano.

La serata si è rivelata un “unicum” per la nostra Comunità cittadina per quanto concerne l’ambito dell’arte orafa napoletana e delle sue importanti maestranze. Per Boraccesi è stato, invece, un graditissimo ritorno a Santa Chiara a distanza di oltre trent’anni da ché nel 1993 ebbe per la prima volta la possibilità di analizzare l’intero patrimonio delle Clarisse fin lì giuntoci, pubblicando sulla rivista territoriale “Quaderni di Periferia” del 1994 la sua indagine conoscitiva.

In questi ultimi trent’anni, fortunatamente, l’arte orafa e degli argenti si è scrollata di dosso l’etichetta di “arte minore” – come del resto anche la scultura lignea – rispetto all’architettura, alla pittura e alla scultura marmorea su cui ci si focalizzava maggiormente in passato, trascurando l’analisi delle arti minori che di piccolo in realtà, avevano solamente la dimensione dei vari manufatti realizzati. Perché in realtà se si vanno ad analizzare singolarmente gli argenti ci si rende conto di quali capolavori si ha dinanzi. La complessa e scaltrita arte dell’argentiere molto spesso si avvaleva di bozzetti preparatori realizzati da architetti e pittori di fama, che venivano poi traslati sul metallo prezioso che prendeva vita attraverso le varie raffigurazioni ivi cesellate o sbalzate. I manufatti potevano andare da sculture a oggetti e suppellettili liturgiche, di cui una costituenda chiesa si doveva per forza di cose dotare per poter celebrare le funzioni liturgiche. Purtroppo di quello che doveva essere un immenso patrimonio, ci è giunta solamente una parte e pochissimi pezzi di età medievale, sacrificati, ci dicono i documenti, nei territori del Regno di Napoli intorno al 1794 allorquando Ferdinando IV di Borbone Re di Napoli, per far fronte alla crisi economico-finanziaria che si ebbe nel Regno sul finire del ‘700, per poter remunerare il proprio esercito in vista di un imminente avanzamento delle truppe francesi di Napoleone da nord, richiedeva a tutte le chiese del regno la consegna alla “Zecca” dello Stato napoletano, di tutti gli argenti inutilizzati e inservibili, per fonderli e tramutarli in moneta sonante corrente. Per quanto riguarda Turi e il Monastero in oggetto, non sono emersi al momento documenti attestanti la consegna di oggetti da parte delle Clarisse al Regno, ma attraverso un inventario del’800 è stato possibile riscontrare già negli anni ‘90 del secolo scorso la mancanza di diversi oggetti, ascrivibile per lo più al periodo post-unitario in cui la Chiesa divenne preda di spogliazioni da parte della politica anticlericale locale.

Consistente è stato il lavoro preparatorio della conferenza, lavoro che ha portato il sottoscritto e Fabio Zita, guidati dall’esperto Boraccesi, ad individuare ciascun pezzo già analizzato nella ricognizione degli anni ‘90 per fotografarlo minuziosamente in tutte le sue componenti particolari, visibili e meno visibili, aggiornando l’intero archivio fotografico (ormai datato) di quegli anni. La documentazione, poi, è stata oggetto di studio da parte di Boraccesi che in conclusione ha passato in rassegna tutti i pezzi fotografati – otto candelieri, tre croci, un calice, una pisside, due ostensori, due stauroteche, una navicella, una palmatoria, due corone, un fermaglio, la porticella del tabernacolo con chiave – caccia di eventuali elementi sfuggiti alla macchina fotografica, permettendogli di venire a relazionare con cognizione di causa ad una sinora ignara comunità turese. Lo scopo di queste manifestazioni, infatti, è stato sin da subito quello di riaccendere nella nostra comunità la fiammella della riscoperta del proprio patrimonio culturale. Si spera, dunque, – e la nutrita partecipazione ci dà fiducia per il futuro – che l’occasione del “sonante Anniversario” spinga i turesi a riappropriarsi di una considerevole e prestigiosa parte della loro storia, con l’auspicio che lo facciano anche le Istituzioni civili e religiose locali, cooperando all’unisono, sondando tutti i canali istituzionali atti alla captazione di risorse finanziarie in grado di predisporre piani concreti di recupero e restauro oltre che di valorizzazione di tal imprescindibile patrimonio storico culturale della nostra cittadina lasciatoci in consegna dalle Clarisse.

Le “Signore Monache di Turi”, con le cospicue loro rendite fondiarie, acquistavano presso le insigni botteghe napoletane, autentici capolavori di argenteria sacra, i cui pezzi più pregiati spesso corrispondono a particolari donazioni al Monastero da parte delle Badesse provenienti dalla famiglia baronale e dalla piccola aristocrazia turese, dando lustro e prestigio sia all’investitura ricevuta, sia alle famiglie di provenienza la cui visibilità e importanza aumentava all’interno della Comunità.

Pietro Pasciolla

Didascalie foto di Fabio Zita: 1) Navicella della Badessa Moles; 2) Giovanni Boraccesi (seduto) e Vitangelo Scisci; 3) Calice (particolare dell’immagine a sbalzo di Santa Chiara); 4) Il pubblico presente alla conferenza.

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Natività (con San Marco) e Crocifissione: due tele di Samuele Tatulli nella Chiesa delle Clarisse di Turi

“Tra le personalità artistiche cui la Puglia ha dato i natali – scrive nel 1994 Giovanni Boraccesi – vi è quella del pittore Samuele Tatulli (1754 – doc. 1826) le cui vicende, sebbene ancora oscure vanno comunque sempre più delineandosi per i continui contributi offerti dalla critica…”. Fu proprio Boraccesi in due studi pubblicati sul periodico di identità editoriale ‘Fogli di periferia’ ad indicare, grazie anche ad un preciso riferimento archivistico riguardante il Notamento del Sindaco Lomastro del 1811, l’inedita attribuzione di due tele della chiesa di Santa Chiara al nostro pittore, peraltro originario di Palo del Colle (e non di Conversano come annotano alcune fonti e, a volte, anche lo stesso Tatulli) e i cui dipinti sono stati finora rinvenuti in Puglia e Basilicata (Ferrandina, Rutigliano, Oria, Palo, Conversano, Noci, Noicattaro, San Vito dei Normanni, Mottola, Turi, Bari) coprendo un arco di tempo che va dal 1781 (Ferrandina, Madonna del Rosario) al 1826 (Bari, San Marco).

A Turi Samuele Tatulli non realizza solo i due quadri per la chiesa delle Clarisse, raffiguranti rispettivamente la Natività con Sam Marco e la Crocifissione, ma anche altre tre opere registrate nel sopramenzionato Notamento del 1811, a quel tempo compilato dal sindaco di Turi Lomastro e a noi purtroppo non pervenute. Infatti, nella cappella intra moenia di S. Giuseppe, poi scomparsa, erano custoditi «un quadro di S. Oronzo coi divoti fratelli a’ piedi. Opera recente del suddetto Tatulli». In quella extra moenia di S. Oronzo, «il quadro di S. Oronzo, S. Giusto e Fortunato» nonché quello «di S. Elena con la Croce. Questi due ultimi sono pitture del predetto Tatulli.»”.

Tornando alla chiesa delle Clarisse di Turi c’è da dire che i due dipinti, posti in posizione speculare ai lati dell’unica navata rappresentano, non casualmente, l’inizio e la fine del percorso terreno del Cristo: tenera e festosa la visione della nascita di Gesù Bambino tra pastorelli e angeli e un singolare San Marco evangelista. Di contro, drammatica e dolente la raffigurazione del Golgota, con il Nazareno agonizzante in uno scenario di desolato dolore.

La Crocifissione, che Boraccesi attribuisce “per affinità stilistiche e tipologiche” al Tatulli della dirimpettaia Natività, anch’essa non firmata ma ascritta da Lomastro al pennello del prolifico pittore di Palo, vede al centro della scena del Calvario l’imponente figura di Gesù Crocifisso, appeso al legno, che taglia in due la tela, contorto dagli spasimi dell’agonia. Il Cristo con il peso del suo corpo giunto all’ultimo debole respiro ha inclinato la croce sporgendosi verso la Madre Dolorosa che occupa tutto lo spazio a sinistra. Vi è quasi un dialogo muto tra Madre e Figlio: gli sguardi sembrano cercarsi, la Vergine addolorata si abbandona toccandosi con una mano il petto lacerato. A destra della croce, nell’altro spazio, Maria Maddalena è in ginocchio in primo piano, la disperazione la fa aggrappare ai lunghi capelli chiari che la sua mano intreccia, il naso e gli occhi, arrossati dal lungo pianto disperato, colorano un volto impallidito; dietro di lei, in piedi sotto l’ombra proiettata dal Crocifisso, Giovanni il prediletto si dispera stringendo forte le sue mani. Sullo sfondo, un gruppetto di angioletti rompe la monotonia di un cielo carico di tempesta, su un accenno sfocato di paesaggio roccioso.

Tatulli sceglie qui, come nella Natività, il forte contrasto dei colori delle vesti: tra il blu del manto di Maria, il giallo e il bianco della Maddalena e il rosso-verde di Giovanni. Un gioco di cromie accese che crea quasi un movimento circolare intorno alla croce, un vortice emotivo ben sottolineato dal movimento delle mani e dei volti, dalle pieghe dei panneggi. Ma è il corpo abbandonato del Cristo, con la carne che quasi si lacera, il volto coronato di spine e sanguinante e quel ricco panneggio bianco al centro della tela, il punto più alto della drammatica rappresentazione.

Il quadro, come altre opere superstiti della chiesa delle Clarisse di Turi, porta i segni del tragico crollo del marzo 1949, quando l’intera volta dell’edificio collassò apportando ferite indelebili alle opere d’arte lì conservate, tra le quali la Crocifissione dove appaiono evidenti i distacchi di colore sulla veste della Madonna. Ferite che, il restauro promosso dall’allora Soprintendente Schettini, strenuo difensore della ricostruzione tout court che altri osteggiavano con deboli argomenti, ha potuto solo in parte mitigare, restituendo integrità a questa bella tela del Tatulli.

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Nella “Natività” la Sacra Famiglia è in luce ma in secondo piano; in avanti, invece, è la sagoma possente dell’evangelista Marco avvolta in una lunga tunica verdastra, riconoscibile dal leone ai suoi piedi, attributo iconografico specifico di questo Santo, spettatore in penombra pronto ad annotare con la piuma bianca che ha tra le dita della mano destra la “buona notizia” – la parola “Vangelo” in greco vuol significare proprio questo – del prodigio di un Dio fatto uomo, destinato a cambiare il corso della storia. Ma qui c’è un serio problema di interpretazione: il Vangelo di Marco è l’unico a non parlare per niente della nascita di Gesù tra quelli canonici del Nuovo Testamento, mentre lo fanno più specificatamente Luca e Matteo. E allora perché il pittore sceglie di rappresentare l’evangelista Marco? Che ci azzecca? Sicuramente Tatulli sa che il Vangelo secondo Marco, ignorandone completamente l’infanzia, avvia il racconto della vita del Messia dal battesimo ricevuto dal Battista sulle rive del Giordano. E’ probabile, quindi, che la scelta di rappresentare Marco sia una forzatura teologica legata alle richieste della committenza, forse particolarmente legata alla devozione verso questo Santo.

Il Tatulli pone il Bambino al centro della raffigurazione, con la Vergine che lo sorregge amorevolmente mentre lo indica con lo sguardo ad un pastorello adorante; Giuseppe, invece, conversa con altri due personaggi venuti a rendere omaggio al Figlio di Dio. Il gioco dei volti, l’intreccio degli sguardi, lo svolazzare degli angeli in alto, il pallio rosso fiammante del barbuto Evangelista, e la scelta di porre la Santa Famiglia su un piano elevato, danno a questa composizione – che in generale si inquadra in un consolidato cliché iconografico e devozionale – un certo dinamismo circolare, quasi fosse un vortice che trova la sua energia vitale nel Bambinello sceso in terra per redimere i peccati dell’umanità.

Giovanni Lerede

  • Le foto sono di Giovanni Palmisano
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“Dalla Donna alla Madonna. I gioielli di Rutigliano tra culto e devozione”. Mostra dall’8 marzo al 10 aprile 2022 al MuDiAS di Rutigliano

Dall’8 marzo, in concomitanza con la Giornata Internazionale che celebra la Donna, Palazzo Settanni e il MuDiAS (Museo di Arte Sacra) di Rutigliano divengono scrigno prezioso per un’inedita esposizione di gioielli che hanno dapprima adornato la mise delle donne rutiglianesi e, in seguito, le immagini sacre di Madonne e Santi. “Dalla Donna alla Madonna. I gioielli di Rutigliano tra culto e devozione” è il titolo della suggestiva mostra temporanea, promossa in collaborazione con gli enti ecclesiastici locali, che ha come intento quello di far conoscere l’usanza di offrire in dono i preziosi monili alla divinità, per richiesta di grazia o per grazia ricevuta e, ancor di più, di riscoprire il gioiello come una vera e propria opera d’arte. I gioielli votivi, o ex-voto, esposti nel museo ci raccontano il contesto culturale cronologicamente collocabile tra il Settecento e la prima metà del Novecento, testimoniando i mutamenti avvenuti nella società del XIX e del XX secolo.

Ad arricchire il progetto espositivo saranno due imperdibili eventi:

• Martedì 8 marzo 2022 – CENA INAUGURALE DELLA MOSTRA

Per l’occasione interverranno:

Giovanni Boraccesi, Responsabile Museo Didattico di Arte e Storia Sacra – MuDiAS, in: “I luoghi della devozione a Rutigliano”;

Rita Mavelli, Storica dell’arte – Centro Studi Giovanni Previtali in: “Dall’ornamento prezioso al dono votivo

Al termine dell’incontro, grazie alla felice collaborazione di Tortellino d’Oro-Gastronomia Dolce e Salata e della Cantina Torrevento, allieteremo i palati di tutti gli ospiti con una gustosa cena a tema. Accoglienza: ore 19.15. Ticket: € 18,00 (comprensivi di incontro culturale, visita alla mostra e cena)

La prenotazione alla cena evento è obbligatoria entro il 6 marzo, chiamando il numero 080 4761848, oppure scrivendo a museopalazzosettanni@gmail.com.

• Sabato 2 aprile 2022 – MUSICAL-MENTE DONNE

Serata concerto a cura di KOLEN TRIO: Francesca Borraccesi – clavicembalo; Giuseppina Greco – violino; Francesca Lippolis – violoncello. Accoglienza: ore 19.15. Ticket: € 10,00 (comprensivi di concerto e visita alla mostra).

La prenotazione è obbligatoria entro il 1° aprile, chiamando il numero 080 4761848, oppure scrivendo a museopalazzosettanni@gmail.com.

Come da normativa vigente, l’accesso al Palazzo sarà consentito esibendo il super green pass e indossando mascherina Ffp2. La mostra temporanea “Dalla donna alla Madonna. I gioielli di Rutigliano tra culto e devozione” resterà aperta al pubblico fino a domenica 10 aprile 2022 nei seguenti orari: Venerdì 10.30 – 12.30; Sabato 17.30 – 20.30; Domenica 10.30 – 12.30. È possibile visitare l’esposizione in altri giorni della settimana previa prenotazione. Ticket di ingresso: 3,00 € (comprensivi di passeggiata nel Museo e visita guidata alla Sala dei Gioielli). Partner ufficiali del progetto: Chiesa Santa Maria della Colonna e San Nicola di Bari, Rettoria di S. Anna, Rettoria di SS. Maria del Carmine, Convento delle Suore Crocifisse Adoratrici dell’Eucarestia.