Avviso ai lettori: abbiamo chiesto anche alla Sindaca uscente di Turi e candidata per la lista ‘Resta, per Turi’, di rispondere alle nostre domande in vista delle elezioni comunali dell’8-9 giugno prossimi. Tina Resta, però, ha scelto di non rilasciare interviste al nostro giornale.
Turi volta pagina, non è solo il nome della lista e lo slogan scelti dal dott. Giuseppe De Tomaso ma è anche il mantra della coalizione che lo sostiene in questo progetto di cambiamento. Al candidato sindaco, per 13 anni direttore della ‘Gazzetta del Mezzogiorno’, profondo conoscitore della politica e della società a tutti i livelli abbiamo voluto porre alcune domande.
Dott. De Tomaso mi verrebbe da chiederle di presentarsi ai turesi, dai quali attende un voto l’8 e 9 giugno prossimi, perché qualcuno non la conosce abbastanza… «Sento di presentarmi come un turese DOC. Quando ho cominciato il mio lavoro e sono stato assunto alla ‘Gazzetta’ da Giuseppe Giacovazzo , molti miei colleghi che risiedevano nell’hinterland barese avevano scelto di vivere a Bari, io non ho fatto questa scelta perché sentivo forte il legame col mio territorio, per cui ho preferito affrontare i rischi legati agli orari di lavoro molto singolari pur di rimanere qui. Quindi da questo punto di vista, se qualcuno ha messo in giro la voce che io non fossi molto attaccato al paese non solo contesto la cosa ma la ribalto come completamente opposta alla realtà e lo può testimoniare chiunque. Tra l’altro dando un’occhiata alla collezione della ‘Gazzetta’, emerge che Turi non ha avuto spesso l’onore della cronaca sulle pagine nazionali o regionali, ma grazie ai ruoli via via assunti nel giornale, ho sempre cercato di dare a Turi un’attenzione particolare e qualcuno, sia pure in maniera scherzosa, me lo faceva notare. Per esempio, in occasione di Sant’Oronzo, la nostra festa aveva sempre il primato rispetto a quella di Lecce. Molta attenzione abbiamo dato alla questione della SS. 172 ed è una battaglia questa che devo assolutamente riprendere perché è una storia assurda quella della nostra statale. Il mio rapporto con Turi, anche fuori dal mio ruolo è stato sempre simbiotico in me c’è molta turesità nel bene e nel male. Come giornalista ho cercato sempre di attenermi innanzitutto al principio ‘salveminiano’: un giornale che è molto attento al territorio e sempre a sua difesa deve avere una prospettiva nazionale, europea, moderna. E questa capacità di mobilitazione ispirata a Gaetano Salvemini, autore che apprezzo molto, ho cercato di trasmetterla anche durante i miei 13 anni di direzione del giornale, dopo 10 anni da vicedirettore con responsabilità nella politica e nell’economia e da inviato con l’idea di tornare a Turi perché questa è da sempre la mia casa.»
Quali sono le ragioni della sua discesa in campo? «Le ragioni della mia discesa in campo le ho illustrate su ‘Repubblica’, giornale con cui ho collaborato e che ha avuto la bontà di chiedere i motivi della mia scelta. In quell’articolo, rifacendomi alla migliore tradizione democratica, ho detto e lo ribadisco che chi ha avuto responsabilità in una realtà come quella di un giornale, che ha illustrato, ha spiegato, ha rappresentato i problemi di un territorio, di una cittadinanza, di una regione su un palcoscenico mediatico importante come la ‘Gazzetta’, nel mio caso, secondo giornale del Sud, dopo deve avere anche, la voglia di scendere per strada, un concetto bello che riprendo da Benedetto Croce perché mi piace molto. Non stare alla finestra,ma misurarsi e scendere per strada. Dal punto di vista della convenienza mi sarebbe risultato più comodo continuare dove ero e dove stavo benissimo, cioè alla ‘Repubblica’ ma ho interrotto la collaborazione e intendo, se sarò eletto, dedicarmi tutta la giornata ai problemi del mio paese rinunciando completamente ad altro.»
Quando ha presentato la sua lista il 4 maggio, lei, indicando la sua squadra ha detto che è cementata da un programma condiviso. Perché ha usato questo termine? È una giustificazione, è un mettere le mani avanti data l’eterogeneità della sua lista composta da persone che rinvengono da differenti esperienze politiche in altre amministrazioni? «No. È soprattutto un riferimento a un principio del primo don Luigi Sturzo. Quando questi assunse la carica di pro-sindaco di Caltagirone, la sua città. Rispetto agli scontri ideologici tra i partiti, che spesso producono paralisi per eccesso di passionalità oppose una novità che era, appunto, il programma. Nella lezione sturziana, il programma è l’uscita di sicurezza, anche perché amministrare non è la stessa cosa che legiferare. Io posso pensare, posso concedere che un sostrato d’ideologia ci possa essere in una legiferazione, in un’attività parlamentare, però quando si tratta di amministrare, l’unico cemento che può tenere insieme una coalizione fatta di sensibilità diverse è il programma. E Sturzo, in un periodo di accesa conflittualità ideologica, trovò nel programma la soluzione, soprattutto a livello locale.»
Quali sono le priorità del suo programma per un paese come Turi che langue ormai da tempo? «Da direttore di giornale mi capitava spesso di andare in giro e mi veniva spesso rivolta la domanda sull’ubicazione dell’area produttiva di Turi. Ero molto imbarazzato perché notavo che anche nel sud della Puglia, dove ci sono realtà più arretrate della nostra, vi erano aree produttive ben definite e questo, ripeto, mi metteva in profondo imbarazzo, perché Turi non aveva e non ha un’area di insediamenti produttivi. Un’anomalia, questa, un’arretratezza nostra, perciò ritengo che da questo punto di vista sia importante dare una scossa al paese e da qui una svolta. Tutto può contribuire a dare la sveglia a un paese addormentato, un paese in crisi profonda. Abbiamo avuto la possibilità di invertire la rotta grazie alla grande alluvione finanziaria e monetaria del PNRR che mai si è verificata in Italia, persino superiore al Piano Marshall, il che è tutto dire, ma non siamo stati capaci di sfruttarla in modo molto più incisivo. Quindi bisogna riprendere questo percorso, soprattutto bisogna partire dall’idea che il bilancio comunale deve essere quasi un optional, cioè il vero bilancio, la vera fonte di finanziamento per le opere pubbliche, per le iniziative di ogni tipo dovrà essere la straordinarietà, vale a dire: fondi comunitari, fondi nazionali, tutto quello che viene elargito, messo a disposizione delle amministrazioni locali che non grava, che non dipende dal bilancio e che deve rimanere solo un’uscita di sicurezza.»
Faccia un esempio concreto… «Sì, andiamo nel concreto. Noi ci troviamo ad affrontare l’aumento della TARI perché, purtroppo, per errori della Regione si è passati dal sistema di tariffe al sistema di prezzi e siccome il Consiglio di Stato ha detto che le imprese impegnate nello smaltimento dei rifiuti dovranno essere pagate secondo il valore di mercato e non secondo quello fissato dall’ARERA, cioè l’Agenzia di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, se un Comune ha un bilancio florido può intervenire e attenuare, persino annullare neutralizzare gli effetti di questo provvedimento ‘punitivo’ che rinviene dalla sentenza del Consiglio di Stato. Per raggiungere l’obiettivo di un bilancio florido è fondamentale avere a disposizione un abbondante parco-progetti che devono essere fatti indipendentemente dai finanziamenti. I progetti si preparano e si fanno protocollare per avere la precedenza. Questo è un metodo che ho potuto verificare e apprezzare dai migliori amministratori che la mia esperienza di giornalista mi ha consentito di conoscere.»
Per tornare alle cose da fare… «Un altro fattore fondamentale anche per la crescita economica di un territorio è la promozione culturale. L’esperienza dimostra che le zone, le aree, le Nazioni che hanno un alto tasso di scolarizzazione, di acculturazione, di diffusione della cultura sono primi nella ricchezza, nel benessere per un motivo molto semplice: la cultura attira gente e risorse e tutto viene poi a essere spalmato sulla cittadinanza. Nel campo dell’edilizia, poi, credo che la prima cosa sia la legalità, la trasparenza che poi è la premessa per tutti i settori. In particolare per l’edilizia dobbiamo anche qui cercare di recuperare, cioè costruire ma sul costruito innanzitutto, perché c’è un problema di degrado e di abbandono. Abbiamo le norme, abbiamo il ‘Piano Casa’ della Regione che è a mio avviso una grandissima occasione perché punta alla rivoluzione energetica e ambientale, e previene quelle che sono le direttive comunitarie e lo fa in modo più intelligente, più concreto, meno punitivo e nello stesso tempo da la possibilità di rimettere in sesto un patrimonio edilizio vetusto. Lo vedo fatto apposta, ad esempio, per il recupero, la riqualificazione del nostro rione Messina. Ed è l’occasione per rimettere in moto l’edilizia, l’unico settore che contiene tutti gli altri settori merceologici.»
E l’agricoltura? «L’elemento cerasicolo è sicuramente preponderante nel bilancio familiare turese e anche qui credo che Turi possa essere assolutamente capofila non solo della promozione di un marchio ‘Puglia’ che finora non c’è stato. Ci si deve anche far carico di un pressing presso il Parlamento, presso il Governo per ottenere la possibilità di pubblicizzare e promuovere il nostro prodotto sui grandi network internazionali, soprattutto asiatici così come si sta facendo per i meleti del Veneto. Non ho mai visto la ciliegia turese o pugliese fare lo stesso, ma è l’unico mezzo e si può fare a costo zero per le nostre famiglie di coltivatori e si può fare se si riesce ad ottenere una sorta di franchigia fiscale, per poter pubblicizzare il nostro tesoro agricolo soprattutto all’estero, in Cina e India in particolare, che sono le potenze emergenti.»
Finora è prevalsa l’idea che il buon amministratore è quello che risponde alle esigenze del singolo cittadino laddove si presentino. Non si rischia in tal modo di sacrificare il bene di tutta la comunità per l’interesse individuale o di una categoria? «Credo sia ancora attuale il pensiero di Salvemini che afferma la dannosità del favore personale perché se poi l’interesse generale decade, se la ricchezza complessiva diminuisce, si riduce anche la ricchezza e la solidità individuale, ed è quello che sta accadendo, ma il danno è collettivo e riguarda chiunque. È necessario cambiare questo modo di fare politica, della pacca sulla spalla o del favore. E’ impossibile davvero fare buona amministrazione se non si mette in primo piano il bene comune, se non si mette in primo piano la trasparenza. Bene comune, trasparenza non sono solo parole ma strutture portanti perché favoriscono la fiducia reciproca ed un’economia senza fiducia reciproca non corre. La trasparenza rende più veloci tutte le pratiche burocratiche, che se non sono veloci nascondono vischiosità, opacità, alle volte anche delle prepotenze e delle estorsioni. Queste non possono essere ammesse, devono essere combattute. Gli uffici comunali devono essere delle case di vetro e questo nuovo corso produrrà anche un maggior tasso di fiducia dei cittadini nei confronti dell’amministrazione.»
Che tipo di squadra è la sua? «Se vinceremo, sarà impossibile non mettere insieme competenza e consenso. E aggiungo, anche coloro che non dovessero essere eletti in caso di nostra vittoria, sicuramente avranno un ruolo nella definizione di progetti, nella realizzazione di idee e iniziative perché ritengo che un’esperienza di questo tipo in cui tutti ci stanno mettendo entusiasmo, e devo dire che negli ultimi giorni abbiamo avuto molte richieste di adesione a cui abbiamo dovuto dire di no perché la lista era completa, tutti anche questi ultimi avranno un ruolo, nessuno sarà dimenticato. Tengo molto alla questione della partecipazione perché è fondamentale. Come ho detto nell’articolo di congedo da ‘Repubblica’ ho notato che la partecipazione sociale in Italia funziona, mentre non funziona la partecipazione politica perché il cittadino non si sente coinvolto. La partecipazione sociale funziona perché da la possibilità di vedere i risultati di quello che si fa, mentre la partecipazione politica, dopo il momento elettorale, subisce la dimenticanza per cinque anni. Per questo è fondamentale che ci sia un canale continuo, mai interrotto fra le esigenze vere della popolazione e la possibilità degli eletti di intervenire. In questo senso, il pre-Consiglio, a mio avviso, dovrebbe trasformarsi in una sorta di assemblea popolare, di partecipazione popolare, in cui sentire dalla viva voce dei cittadini cosa ne pensano. Queste assemblee, in un comune grande come il nostro, possono essere realizzate attraverso l’utilizzo della rete, per esempio. Per noi questo deve rappresentare un modello di lavoro.»
Con quali idee, parole, cercherà di attrarre a se e alla sua lista i cittadini che non votano, gli indecisi? «C’è un sentimento di sfiducia verso le amministrazioni a tutti i livelli che a mio avviso in alcuni casi è motivato in altri no. Quello che posso dire e che non ci si deve abbandonare a una posizione fatalistica. Per esempio, anche in Puglia ci sono dei casi in cui si è dimostrato che è possibile cambiare direzione anche in pochissimo tempo. Monte Sant’Angelo, paese del Gargano ha avuto grandi problemi di tipo morale perché è stato sciolto per mafia. Adesso ha avuto il riconoscimento di ‘capitale della cultura’ perché la nuova amministrazione, nata dopo quella incriminata, ha messo insieme le intelligenze migliori del paese ed è riuscita ad ottenere un riconoscimento straordinario. Inconcepibile prima e l’ha fatto mettendo in atto provvedimenti davvero di rottura con il sistema del passato, dimostrando cosi che oltre la realizzazione di opere si era anche cambiato l’approccio amministrativo. Questo per dire che persino nei paesi con problemi molto più gravi dei nostri è stato possibile invertire la rotta,a maggior ragione bisogna farlo per Turi che può e deve essere svegliata. Per quanto riguarda gli indecisi, sono cittadini che hanno una sfiducia nei confronti della politica, dell’amministrazione in particolare –tutta l’Italia ha questi problemi –ritengo che ci siano le condizioni per convincerli del contrario. Questo fatalismo può essere abbattuto, bloccato, interrotto.»
E gli elettori già orientati? «Anche questa è una sfida che raccogliamo. Noi saremo gli amministratori di tutti con un’impostazione votata all’interesse generale e non particolare. In questo modo anche in una realtà come Turi che non brilla per dinamismo economico, dobbiamo poter cambiare il corso della storia, perché non è un destino essere marginali. Cambiare è possibile.»
Lia Daddato
Le foto sono di Cinzia Rossi